Michele Arnaboldi, architetto ticinese

La critica internazionale che, ancora nel secolo scorso, ha raccontato le idee innovative dell’architettura ticinese, considerava i giovani Michele Arnaboldi e Raffaele Cavadini come gli allievi di Luigi Snozzi che sono stati capaci di trasformare in architettura costruita e abitata i concetti elaborati dal maestro. Tra la fine degli anni 80 e la prima parte degli anni 90, sia Arnaboldi sia Cavadini hanno costruito alcune abitazioni collettive nella periferia dei centri urbani del Sopraceneri, che – per gli appassionati di architettura – era un obbligo visitare dopo le più note case unifamiliari di Snozzi, per capire la novità ticinese.

Le loro opere hanno cominciato a segnare il territorio, tentando di resistere alle vaste trasformazioni turistiche e alla diffusione insediativa conseguente allo sviluppo economico e sociale del dopoguerra.

A soli 71 anni, lo scorso 20 marzo Michele Arnaboldi ci ha lasciato. Era nato nel 1953 ad Ascona e, dopo avere lavorato alcuni anni con Snozzi, nel 1985 aveva aperto il suo studio a Locarno, realizzando numerosi edifici e sperimentando tipologie e modelli abitativi inusuali.

Da Snozzi, e anche da Livio Vacchini e da Aurelio Galfetti, ha ereditato l’uso del cemento armato, facendolo diventare il materiale per eccellenza della propria distinguibile poetica. Come è noto, il gruppo di architetti ticinesi nati nel corso degli anni 30, che avevano esposto le loro opere a Zurigo nel 1975 e che sono considerati i fondatori della modernità ticinese, avevano linguaggi e approcci tra loro diversi, ma alcuni caratteri comuni, oltre alla forte appartenenza al territorio. Uno di questi era l’adozione del cemento armato, che Le Corbusier aveva eletto a vera e propria cifra della modernità e che ha distinto le opere di molti di loro.

La coincidenza perfetta tra la forma dell’edificio e la sua struttura portante, prevalentemente realizzata in cemento armato, è stata il concetto che ha rivoluzionato l’architettura all’inizio del 900 e che ha travolto le tradizioni storiciste ottocentesche, che avevano di fatto relegato il mestiere dell’architetto a disegnatore di facciate. Nel lavoro di Arnaboldi, gli involucri di cemento armato sono diventati composizioni dalla geometria assoluta, con gli spigoli perfetti, e con le superfici eseguite e trattate come piani di un modello realizzato a scala reale.

Con il rilievo crescente della questione energetica, con l’imperativo, cioè, di ridurre fino a cancellare le dispersioni termiche, la coincidenza tra forma e struttura è diventata un tema più complesso e più concettuale che direttamente percepibile nella materialità dell’architettura. La necessità di adottare strati di isolamento termico da combinare con le strutture in cemento armato in modo da non rinunciare alla forza espressiva di quest’ultimo ha favorito lo sviluppo di ricerche e l’affinamento di saperi progettuali e nuove tecniche nelle quali Michele Arnaboldi eccelleva.

Il suo insegnamento all’Accademia di Architettura di Mendrisio, dove dal 2009 è diventato professore di ruolo, ha formato molti nuovi architetti con il metodo della «bottega», cioè con la trasmissione diretta del suo mestiere e con la riflessione sulla responsabilità civile che il mestiere comporta. Trasmissione che è stata favorita dalla sua generosità, dalla semplicità e trasparenza critica, con le quali illustrava le sue convinzioni e dalla passione con la quale le sosteneva.

La relazione del singolo edificio con il più vasto contesto territoriale, intesa come elemento decisivo della progettazione – che era il nucleo centrale del pensiero di Luigi Snozzi – è stato l’orizzonte all’interno del quale tutto il lavoro di Michele Arnaboldi è stato concepito. Con il suo impegno nella progettazione a grande scala ha realizzato il disegno di trasformare effettivamente la realtà governando le trasformazioni, come nella pianificazione territoriale della valle di Poschiavo, nei Grigioni. La comunità di questa valle, interamente dedicata all’agricoltura biologica, gli aveva affidato il compito di organizzare gli insediamenti e le infrastrutture in modo coerente con la sostenibilità ambientale che era realmente praticata.

Pochi giorni prima di morire, Michele e il suo studio si sono aggiudicati (insieme a Michele Gaggini di Lugano) il concorso di progetto per il nuovo ospedale di Bellinzona. Un lavoro di grande importanza, che impegnerà il suo studio per molti anni e che lascerà a Giubiasco, al centro della valle del Ticino, il segno costruito del suo pensiero.

Related posts

La voce della politica comunale

​​​​​Guida automatizzata: il futuro è oggi

Dal mattone all’arte, la nuova vita delle Fornaci