Il paraît que l’idée fut à Luther, mi dice un ometto già in là con gli anni, quando gli chiedo se vado bene per il canale d’Entreroches. Lo incontro sulla stradina di campagna che sale verso il Mormont, la collina alle spalle di La Sarraz, nel canton Vaud.
Poi passa ad altro e, accennando al vecchio Golden Retriever che tiene al guinzaglio, mi fa, lui è Scotch, e gli dà una grattatina sul muso. Piacere, mi scappa di bocca, e rinuncio a spiegargli che Lutero era troppo preso dai suoi grattacapi teologici per occuparsi di un’opera d’ingegneria idraulica, che, per di più, vedrà la luce solo un secolo più tardi.
A volerla tirare per i capelli, però, l’affermazione del padrone di Scotch non è poi così priva di fondamento, penso, riprendendo il cammino. Pater Martinus, quel giorno d’ottobre del 1517, affiggendo le sue novantacinque tesi al portone della chiesa del castello di Wittenberg, innesca un bel putiferio in tutta l’Europa occidentale e non solo. Le conseguenze di quella che sarà definita la Riforma protestante non si limiteranno alla religione, ma spazieranno in tutti gli ambiti della società, dalla politica alla cultura, dall’economia alle dinamiche sociali.
Lo scisma del mondo cristiano produrrà dispute teologiche, odio, persecuzioni e guerre fratricide, come quella, lunghissima, dei Trent’anni (1618-1648). Ed è proprio durante quell’interminabile conflitto, che prende avvio la storia bizzarra che mi ha portato qui, a camminare in una giornata di sole in mezzo ai prati della campagna vodese.
Gli Olandesi, di confessione riformata, sono alla ricerca di nuove rotte commerciali sicure verso il sud e l’Italia, per evitare di circumnavigare la penisola iberica e incorrere negli assalti della flotta della cattolicissima e nemicissima Spagna. I trasporti terrestri, all’epoca, sono troppo lenti e difficoltosi, inadatti ai carichi pesanti, l’alternativa è una via navigabile attraverso il continente, che colleghi il Mare del Nord al Mediterraneo, sfruttando il Reno e il Rodano e passando dal lago di Neuchâtel e dal Lemano.
Buona parte del lungo percorso acquatico è già utilizzata da secoli per il trasporto delle merci e alla realizzazione del sogno mancherebbero solo poco più di venti chilometri tra Orbe e Morges. Fattibile, si pensa allora. Nasce così il progetto del canale d’Entreroches, che prende il nome dalla gola che attraversa il promontorio roccioso del Mormont, un’anomalia geologica del massiccio del Giura, che fa da esile spartiacque tra il nord e il sud dell’altopiano elvetico.
I lavori iniziano nel 1638 e, due anni dopo, il tratto tra Yverdon e Entreroches è terminato. La seconda tappa si conclude nel 1648, raggiungendo Cossonay. A quel punto, rimane solo una dozzina di chilometri fino a Morges, dove il canale dovrebbe sfociare nel lago, ma è necessaria la costruzione di una quarantina di chiuse, un’impresa troppo onerosa, e il sogno europeo s’interrompe lì. La via d’acqua sarà comunque utilizzata fino al 1829 per il trasporto di sale, grano, formaggio e vino vodese. A poco a poco, il canale d’Entreroches perde importanza, qua e là è interrotto da frane, i muri si sgretolano, il potenziamento delle strade e l’arrivo della ferrovia gli danno il colpo di grazia e, per finire, viene dimenticato. Alcune vestigia più o meno evidenti di questo progetto un po’ folle esistono però ancora nella campagna vodese.
E così, eccomi qui, alla ricerca di questi muti testimoni di un’epoca turbolenta e oscura, animata al contempo da una nuova consapevolezza e dalla fiducia nella scienza e nella tecnologia, che di lì a poco favoriranno la rivoluzione industriale. Il compito non è difficile, visto che Randonature, un’azienda specializzata nel turismo sostenibile e nell’educazione ambientale (www.randonature.ch), ha creato un sentiero didattico, che si snoda lungo l’antico percorso del canale1).
L’inizio dell’itinerario è piuttosto panoramico e segue la stradina che da La Sarraz sale sul groppone del Mormont, in mezzo ai prati e a un ondeggiare lento di campi di grano. Del castello, che ho ammirato poco fa lasciando il paese, s’intravvedono laggiù le due torri incorniciate di verde, con, sullo sfondo, i primi contrafforti del Giura. A La Birette, un mostro primordiale ha addentato la collina, staccandone un morso smisurato. È la tanto discussa cava della Holcim di Eclépens 2), che da settant’anni scava qui il calcare per la fabbricazione del cemento. La voragine che scende a gradoni è impressionante e richiama certe miniere a cielo aperto di africana memoria. Il bosco allarga ora le braccia ricoprendo con la sua coperta mimetica la cima del Mormont e tutto il versante orientale, da dove scendo verso la gola d’Entreroches.
Il sentiero la percorre puntando a nord-ovest e, all’improvviso, tutti i rumori si spengono come d’incanto e cammino immerso in un silenzio irreale rotto appena dal brivido di un battito d’ali o dal richiamo acuto di uccelli invisibili.
Le pareti rocciose, ricoperte dalla vegetazione e da un intrico di radici aeree, mostrano i segni dell’erosione, che ha intaccato le rocce del Mormont scavando questa faglia da dove passava il canale. E, infatti, eccolo lì, proprio sotto di me, ci sono ancora i muri di sostegno laterali, che fanno capolino dietro un groviglio di rami. Dell’acqua non vi è quasi traccia e il suo letto è invaso da canne palustri, giovani ontani e noccioli, erbe alte punteggiate dal giallo dei giaggioli acquatici. Fa un certo effetto pensare che, fino a duecento anni fa, di qui passavano barche lunghe venti metri, fabbricate su modello olandese a Thun e a Yverdon. Ognuna trasportava venticinque tonnellate di merci ed era trainata da due cavalli lungo l’alzaia che correva accanto al canale.
All’improvviso un fischio acuto mi fa sobbalzare, seguito da un rumore sordo e prolungato, che esce come un soffio da un buco nero, una decina di metri sotto il sentiero. Mi affaccio a un muretto e guardo giù, proprio mentre un treno sbuca da un tunnel, tagliando il canale che qui scompare, e s’infila ululando in un’altra galleria scavata sotto il Mormont. Eccola la causa ultima, che ha decretato la fine del sogno transeuropeo.
Poche centinaia di metri più avanti, uscendo dalla gola, incontro la vecchia «maison de l’éclusier», l’unica rimasta delle quattro costruite lungo il tracciato tra il 1640 e il 1650. Vi alloggiava il custode della chiusa e del porto d’Entreroches, il più importante per volume di merci, e fungeva anche da albergo per i battellieri e da sosta per i cavalli. Immagino ci fosse un bel trambusto da queste parti a quell’epoca, con i barcaioli indaffarati, i carrettieri che portavano le merci da trasportare, i contadini del posto con i loro cavalli da traino e poi ancora gli artigiani, che si occupavano della manutenzione delle chiuse e del canale. A far da spettatore, uno straordinario tiglio monumentale (pare sia stato piantato al momento della costruzione della «maison de l’éclusier»), che mi si para davanti, maestoso.
Lì vicino, ai bordi della strada, c’è un’antica pietra miliare scoperta con la costruzione della chiusa nel 1640. Eretta sotto il regno dell’imperatore Adriano (117-138 d.C), per indicare la distanza fino ad Avenches, ci rivela l’utilizzazione già in epoca romana del passaggio d’Entreroches.
Riprendo il cammino verso Bavois, in mezzo a campi di colza e di grano, prati e torbiere. Del canale non vi è più traccia. Poi, all’improvviso, un gracidare di rane mi annuncia la presenza dell’acqua. E, infatti, rieccolo, che si fa strada tra una vegetazione un po’ soffocante. L’antico sogno di congiungere i mari è ormai ridotto in un sonnolento canale di drenaggio della pianura.
Note
1) L’itinerario è descritto anche nella pubblicazione di Heimatschutz, Historische Pfade/Sentiers historiques, una raccolta di 35 sentieri storici in tutta la Svizzera, con informazioni e cartine.
2) Per arginare le mire espansionistiche della Holcim, nel giugno 2022, è stata consegnata l’iniziativa «Salviamo il Mormont», promossa da Verdi, Associazione per la salvaguardia del Mormont, Pro Natura Vaud e diversi partiti di sinistra. Intanto, però, la ditta ha iniziato nel dicembre scorso ad abbattere il bosco di La Birette.