A spasso tra le case dei morti

Il ricordo delle persone che non ci sono più inventa continuamente forme e costumi imprevisti. Per esempio, basterà fare caso a come, a un certo punto e improvvisamente, sia spuntata l’abitudine delle fotografie a colori dei nostri cari nei necrologi dei quotidiani, in risposta a una domanda che forse non è troppo lontana da certe consuetudini fotografiche (e autofotografiche) che tanto segnano la nostra modernità. Ma il modo di ricordare un congiunto, una persona cara o figure di piccole e grandi notorietà pubbliche occupa anche i territori e assume forme di valore architettonico e insediativo attraverso la pratica storica del cimitero.

Così, può anche non risultare strano che sia cresciuto negli anni una sorta di turismo dei cimiteri, passatempo tanto accreditato da ricevere una propria etichetta lessicale: in italiano si dice (o si tende a dire) cimiturismo, oppure, con scelta più accademica tanatoturismo (perché in greco antico thanatos significa morte). Il genere ha addirittura sue specializzazioni e categorie, se è vero che un tale Scott Stanton si sarebbe specializzato nell’indagine delle tombe di musicisti illustri del secolo scorso, fondando concretamente una disciplina e allargando il lessico del turismo cimiteriale a parole come The Tombstone Tourist, Taphophile, Cementery Enthusiast, Grave Hunter eccetera.

Ritroviamo il piacere accreditato di visitare i cimiteri in questo Passeggiate nei piccoli cimiteri dello studioso di cose turistiche, di stili alternativi di frequentare l’altrove e della storia di tutto ciò Claudio Visentin, (ndr. che per «Azione» firma la rubrica Viaggiatori d’Occidente). Diremo subito che, seguendo la via scelta da Visentin, gli elementi di apprezzamento di un cimitero visitato da questi nuovi pionieri del tempo libero sono almeno tre: la collocazione relativa rispetto alla comunità (ai margini del villaggio, sopra un’altura, dimenticato tra la vegetazione…), la disposizione delle tombe e i modi di affidarvi i nostri cari (i cimiteri militari con quelle tipiche tombe tutte allineate a mo’ di sacrario; le tombe dei poveri cimiteri di campagna, dove si adagiavano i cadaveri lasciandovi quelli dei precedenti ospiti), immagini e scritte. La morte e i suoi rituali, solitari e individuali oppure di una intera comunità che partecipa al lutto e alle sue forme, ha poi relative strutture: così i tipi di cimitero passati in breve rassegna saranno via via monumentali, «degli inglesi», protestanti, ebraici, ortodossi, «di guerra», senza classificazione, oppure ancora un po’ speciali, come quello di Barracas, a sud di Buenos Aires, «l’unico camposanto al mondo dove sono sepolti solo ruffiani e prostitute».

Meritano attenzione gli epitaffi, le scritte; e non è un caso che esista una tradizione di raccolte e inventari classici o informali di quello che parenti sopravvissuti al commemorato decidono di scrivere di lui. Si tratta il più delle volte di condensare una vita, di regola dimenticandone aspetti e fatti negativi e da un lato celebrando le imprese positive o dall’altro richiamando le avversità nonostante le quali il congiunto ha tirato dritto disegnando una vita rispettabile e memorabile su una pietra eterna. Di Caterina la scritta dice, con doppio avversativo, che «benché casalinga, tuttavia meritò l’ammirazione e il plauso di quanti la conobbero»; di Maria invece è sancito che fu «vergine, fra le virtuose dell’età sua virtuosissima».

Un genere di indiscussa tenerezza riguarda il ricordo scritto dei defunti bambini e l’attestazione di talune abitudini onomastiche; una famiglia Serra di un camposanto visitato da Visentin attribuisce in sequenza e ostinatamente il nome a un Giovanni morto a diciotto mesi, a un successivo Giovanni che sopravvisse undici mesi e a un terzo Giovanni, perduto a tredici mesi; una fila di figli omonimi, tutti morti tranne forse un quarto e meno sfortunato destinatario dell’attribuzione, a patto che i genitori non abbiano nel frattempo abbandonato esausti la speranza di crescere un loro Giovanni oltre quella manciata di mesi di vita.

Insomma, il libro di Visentin promuove al centro dell’interesse turistico un aspetto di solito laterale e secondario. Capita di visitare cimiteri quando si è in un luogo per altro; qui li si sceglie con intenzione deliberata e prioritaria, per un loro interesse specifico. E in questo senso, tra le immagini affascinanti evocate in questa guida ci sono anche cimiteri là dove non c’è più un villaggio di riferimento; in quei luoghi «gli abitanti di un tempo ancora aspettano i viaggiatori per raccontare la loro storia».

Non stona, infine, il continuo riferimento alla letteratura del ricordo e del rimpianto delle persone che non ci sono più, piacere che può accompagnare l’originale visitatore. Una poesia di Andrea Cohen fa così: «Racconto a mia madre che ho vinto il premio Nobel. Di nuovo? Mi dice lei. E in quale disciplina questa volta? È un piccolo gioco tra noi: io fingo di essere una persona importante, lei di non essere morta».

Related posts

L’anima rurale delle Alpi Albanesi

Hong Kong tra radici storiche e spinte globali

Balli, il primo ticinese a circumnavigare il globo