Il futuro incerto di Ursula von der Leyen

by Claudia

Ursula von der Leyen è la presidente della Commissione europea ed è determinata a continuare a esserlo fino al 2029. Ma il suo futuro non sarà deciso dagli elettori che voteranno dal 6 al 9 giugno, bensì dai leader dell’Ue, i premier e i presidenti degli Stati membri, e dal Parlamento europeo. Un paio di mesi fa sembravano allineati, ora procedono in ordine sparso. E sparsissimi sono anche i suoi compagni di partito (Partito popolare europeo). All’inizio di marzo il congresso di Bucarest, che doveva essere l’incoronazione della Spitzenkandidatin, è stato tutto un mugugno. Su 737 delegati che avevano diritto di voto al Congresso del Ppe, solo 400 hanno votato per lei. Quasi la metà (il 46%) ha messo la croce sul «no» alla riconferma, si è astenuto o ha deciso di non votare. È stato Manfred Weber, conservatore tedesco e capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, a insistere perché si votasse al Congresso. La «conta» è stata deprimente per von der Leyen. Weber gongolava, perché nel 2019 doveva essere lui il presidente della Commissione europea, ma i leader scelsero al suo posto von der Leyen, appunto.

Lo rifaranno? La risposta certa ci sarà dopo le elezioni, al primo Consiglio europeo di metà giugno: l’esito del voto, che sembra dominato dalle destre, condizionerà il resto. Ma alcuni meccanismi di fondo restano immutati, e uno è che francesi e tedeschi prendono le decisioni sulle nomine. Olaf Scholz, il cancelliere tedesco, ha detto che voterà von der Leyen: è una scelta di continuità e tutta tedesca, ma Scholz è un socialdemocratico, appartiene al gruppo politico europeo dei socialisti, che sì governano assieme ai conservatori, ma che hanno un loro Spitzenkandidat, Nicolas Schmit. Per di più la preferenza è stata formulata quando la strada di von der Leyen pareva liscia, cosa che ora non è più. Al contrario Emmanuel Macron, il presidente francese, non ha fatto dichiarazioni pubbliche, ma a metà febbraio aveva invitato von der Leyen all’Eliseo e l’incontro era stato interpretato come un patto: Macron avrebbe dato il suo consenso a riconfermare von der Leyen e le avrebbe chiesto di puntare la sua campagna elettorale sulla difesa europea, che è quello che stanno facendo anche i macroniani in Francia (non sta andando bene, i lepenisti hanno quasi il doppio dei consensi). Detto fatto: von der Leyen ha messo la difesa europea come priorità, scalzando il grande obiettivo del suo primo mandato, cioè il Green deal, ma appropriandosi di idee e piani che erano stati preparati dall’altro potente francese a Bruxelles, Thierry Breton, commissario per il Digitale, lo ha indispettito. È iniziata così una querelle a mezzo X (ex Twitter) non proprio edificante. Macron è ben contento di giocare il ruolo del kingmaker, ma proprio come nel 2019 ha iniziato a dire che il meccanismo dello Spitzenkandidat è obsoleto, che la scelta deve essere coraggiosa e via dicendo. Anche Giorgia Meloni, premier italiana che ha costruito una buona intesa con la presidente della Commissione e che soprattutto fa parte di quelle destre che von der Leyen ha deciso di corteggiare, si muove fredda: non decidiamo oggi, si fa tutto dopo il voto.

Intanto continuano a scoppiare piccoli scandali attorno a von der Leyen. I messaggi sms con i capi di Pfizer durante la commessa per i vaccini anti-Coronavirus sono oggetto di indagine; le nomine e i cosiddetti «piazzamenti» dentro l’apparato brussellese, pratica comune, vengono intercettati e denunciati con una certa insistenza; e via così. C’è anche una questione politica: il primo mandato verrà ricordato per la gestione della pandemia, l’unità trovata sulla difesa dell’Ucraina e il Green deal. Sulle ultime due strategie ha adottato, da ultimo, una dose di cautela. Ha diluito il processo di adesione dell’Ucraina all’Ue, rallentandolo, perché questa adesione è contestata con forza dagli agricoltori e dai partiti, come la Lega, che li sostengono dicendo: meno soldi per i carri armati e più per i trattori. Il Green deal invece è stato rimosso dalle priorità, nel manifesto del Ppe molte misure previste per la transizione ecologica sono state rimandate e tolte, comprese quelle sulle auto ecologiche entro il 2035. Von der Leyen ha quindi deciso di rimangiarsi un po’ di quello che è sembrato per lei cruciale negli ultimi 5 anni, ma così si è sfaldata la coalizione che l’aveva eletta nel 2019: i verdi non la voteranno, i liberali continuano a prendere le distanze da lei. Restano le destre: non tutte, chissà in che assetto, e con quali compromessi.