L’utopia della pace perpetua

I venti tempestosi che si sono levati nel vicino e medio Oriente, come pure nell’area euro-orientale, rappresentano micce accese che per taluni ricordano la corsa verso il baratro della guerra mondiale nell’estate del 1914, e per altri l’ingenua autosoddisfazione del premier inglese Chamberlain all’indomani dell’incontro con Hitler alla conferenza di Monaco nel 1938. I paralleli storici sono utili se non sono forzati: contribuiscono a risvegliare ed allertare le coscienze, come ben sapevano autori come Machiavelli e Guicciardini allorché in epoca rinascimentale richiamavano nei loro scritti la lezione degli autori greci e latini. Questo approccio deve valere anche per noi, spettatori in ansia dei conflitti in corso in Ucraina e in Palestina.

In questa fase di ripresa del «disordine mondiale» vale la pena di bussare alla porta di un pensatore nato a Königsberg (Prussia) trecento anni fa, il 22 aprile del 1724: Immanuel Kant, filosofo illuminista universalmente noto per le sue tre Critiche (della ragion pura, della ragion pratica, del giudizio), come pure di un trattatello pubblicato nel 1795 sotto il titolo Per la pace perpetua. Non era la prima volta che l’intellighenzia europea volgeva le sue attenzioni alla guerra e al modo migliore per evitarla. Riflessioni in tal senso erano già presenti negli scritti di Erasmo, dell’Abate di Saint-Pierre e di Rousseau. Kant riconosce i suoi debiti intellettuali, ma nel contempo precisa la sua proposta elencando dapprima le strade che non bisogna assolutamente imboccare. Sono sei punti, detti «articoli preliminari», che contemplano una proibizione:
1. Nessun trattato di pace deve essere ritenuto tale se stipulato con la tacita riserva di argomenti per una guerra futura.
2. Nessuno Stato indipendente deve poter essere acquistato da un altro mediante eredità, scambio, compera o donazione.
3. Col tempo gli eserciti permanenti devono essere aboliti.
4. Non si devono contrarre debiti pubblici in vista di conflitti esterni dello Stato.
5. Nessuno Stato si deve intromettere con la forza nella costituzione di un altro Stato.
6. Nessuno stato di guerra deve permettersi atti di ostilità tali da rendere impossibile la reciproca fiducia nella pace futura.

A questa sezione composta di divieti, Kant faceva seguire una serie di «articoli definitivi» intesi a stabilire le condizioni giuridiche e costituzionali su cui fondare il progetto di pace. Il primo passo consisteva nella formazione di una lega di tutti gli Stati (Bund) o di una federazione (Föderation) permanente, all’interno di una cornice che, sottolinea Kant, «dev’essere repubblicana». In assenza di questa premessa, ossia di un ordinamento repubblicano implicante la separazione dei poteri, la guerra è sempre possibile, dato che i cittadini-sudditi sono alla mercé di un Governo assolutistico e dispotico, il quale agisce in base ai suoi capricci e alle sue brame di conquista. Nel secondo articolo definitivo, Kant poneva l’accento sul diritto internazionale come espressione di un federalismo di liberi Stati. Solo l’idea federalistica, ossia la creazione di una lega della pace («foedus pacificum»), avrebbe permesso di estendere a tutti gli Stati la pace perpetua in conformità al diritto internazionale. Nel terzo articolo Kant si soffermava infine sul diritto cosmopolitico come base dell’universale ospitalità. «Qui – precisa subito l’autore – non si tratta di filantropia ma di diritto, e ospitalità significa quindi il diritto di uno straniero, che arriva sul territorio altrui, di non essere trattato ostilmente. Può venirne allontanato, se ciò è possibile senza suo danno, ma fino a che dal canto suo si comporta pacificamente, l’altro non deve agire ostilmente contro di lui». Qui Kant si riagganciava alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, adottata dall’Assemblea costituente francese nel 1789, e più in generale ai princìpi costituzionali espressi in quel giro d’anni in Francia e in America.

Kant redasse questo conciso trattato sullo scorcio del Settecento, il secolo dei lumi, dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, di Montesquieu, dei fratelli Verri, di Cesare Beccaria, di Gaetano Filangeri. Gli echi del rinnovamento giunsero anche nella vecchia Confederazione elvetica, un’architettura oligarchica che di lì a poco sarebbe crollata per opera dei protettori di sempre, ossia i francesi, che nel 1798 imposero agli svizzeri una «Repubblica una e indivisibile». Ma intanto i semi repubblicani avevano iniziato a germinare nelle prime, ancora incerte carte federali e cantonali, traducendo in paragrafi di legge quanto Kant aveva proposto nel suo progetto filosofico (nello spirito, se non nella lettera). Viene naturale pensare a concetti quali «Repubblica» e «federalismo».

Tuttavia la «pace perpetua» non fece breccia nelle corti d’Europa e nei loro Stati maggiori. Le campagne napoleoniche misero il vecchio Continente a ferro e fuoco sotto la regia del Bonaparte, che proprio nel 1804, anno della morte di Kant, si autoproclamò imperatore. Ma non per questo la sua utopia razionale cadde nell’oblio. Rimase sotto traccia come possibile via d’uscita da situazioni di belligeranza incancrenite, come quella che si era instaurata tra la Francia e la Germania. Fu così che nel 1920 vide la luce la Società delle Nazioni dietro proposta del presidente americano Woodrow Wilson, a partire dai 14 punti formulati mentre ancora infuriava la grande guerra iniziata nel 1914. Fallita questa prima esperienza di fronte all’ascesa dei movimenti nazifascisti, l’idea rinacque nel 1945 con la fondazione delle Nazioni Unite, organizzazione che tuttora cerca di comporre i conflitti attraverso lo strumento del dialogo e della diplomazia, con risultati alterni, spesso insoddisfacenti. Ciò nonostante, il pacifismo giuridico kantiano continua a dare frutti. Uno degli ultimi è opera del giurista italiano Luigi Ferrajoli, estensore di una Costituzione della Terra che annovera proprio Kant tra i suoi principali ispiratori (Feltrinelli).

Oggi la città in cui il filosofo ha trascorso tutta la sua vita porta il nome di Kaliningrad e fa parte, come exclave, del territorio russo. Con la russificazione della provincia, la Federazione russa ha cercato anche di appropriarsi di questo illustre cittadino, dedicandogli monumenti e intitolandogli la locale università. Nel 2002, nell’ambito dei dialoghi di San Pietroburgo tra Russia e Germania, Vladimir Putin ricordò che Kant era «categoricamente contrario a risolvere le divergenze d’opinione tra Stati attraverso la guerra. Noi dobbiamo tradurre in pratica il suo insegnamento relativo alla composizione dei dissidi internazionali ricorrendo a mezzi pacifici». Lettura corretta, ma purtroppo presto dimenticata…

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