Nella testa di Rocco Siffredi

Poco meno di sette ore per raccontare la vita di un uomo che fondamentalmente nella vita ha fatto una sola cosa, e non si vergogna di ammetterlo. Anzi, negli anni, e soprattutto negli ultimi tempi, grazie a L’Isola dei famosi (dove si è sentito «nudo» davvero e ha deciso di cambiare vita), al Grande Fratello, all’intervista-verità con la sempre brava Francesca Fagnani, ma anche alle parole contro la violenza sulle donne riprese dalla ministra per la famiglia Eugenia Roccella, a Rocco Siffredi è riuscito di trasformare la pornografia come contenuto esistenziale in qualcosa di accettabile, se non addirittura cui ambire. Lo status non è ancora quello del maître à penser, ma per visibilità mediatica poco ci manca.

La vita di Rocco Siffredi nato Tano (cognome mutuato all’Alain Delon-Roch Siffredi di Borsalino), abruzzese di Ortona di umili origini e dal legame viscerale con madre e parenti, viene ora raccontata in sette puntate in Supersex, serie Netflix (nella foto la locandina) diretta da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini e Francesca Mazzoleni, presentata in anteprima in occasione dell’ultima Berlinale.

La saga che ripercorre le gesta del cosiddetto «Italian stallion» si apre con il plateale annuncio di Siffredi di volere lasciare la scena. L’ennesimo, come si scoprirà nel corso della serie, sconfessato come i precedenti dal demone interno che a intervalli regolari lo riporta sul set, costringendolo a dedicare gran parte della propria vita alla fornicazione professionale.

Se la prima puntata indugia nel racconto delle contorte dinamiche della famiglia Tano, contrassegnata da silenzi devoti e tanto dolore, in una modalità che ne fa una quasi-fiaba, (grazie alla bella recitazione e al filtro dorato), facendo ben sperare spettatrici e spettatori, ciò che segue è un esercizio a ripetere. Siffredi, infatti, una volta individuato con fermezza il proprio talento nei club per scambisti a Parigi, dove conosce anche importanti produttori, vi ci si dedica con disciplina e coraggio, muovendosi con agio in un mondo (difficile come quello pornografico) che viene restituito ammantato di una patina erotica e quasi chic.

A poco vale la viscerale interpretazione di un Alessandro Borghi (ma lui è così, basta ricordare Sulla mia pelle) che in alcuni frame diventa quasi indistinguibile dal vero Siffredi, così come risulta oltremodo greve lo spazio dedicato al tormentato rapporto tra Rocco e suo fratello Tommaso (interpretato da un Adriano Giannini così preso dal personaggio da diventare quasi ingombrante).

A risultare meno sopportabili ancora dei minuti di silenzio, dello sguardo siffrediano (micidiale mix tra inspiegabile incredulità, spacconeria e tristezza), dei cliché giustapposti uno in fila all’altro (facendoci sorgere il dubbio che esistano davvero vite così), sono però le numerose riflessioni attribuite ai diversi personaggi che paiono copiate paro paro da un libro di auto aiuto; meccanismo per cui, ad esempio a Moana Pozzi vengono attribuite frasi come: «Vivi come se dovessi morire domani, pensa come se non dovessi morire mai, perché noi siamo dei pagani e gli dei hanno sempre forme animali».

Più che sfidare un tabù o, meglio ancora, puntare i riflettori sui peccati legati al sesso, Supersex ne mette involontariamente in luce uno ancora più grande, che li supera tutti: la noia, peccato capitale nel mondo dell’arte.

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