Noi e i sentieri dei social

by Claudia

Credo che i lettori siano ormai abituati a seguirmi ogni tanto in quelle che sono state definite divagazioni, dedotte dai social (e dintorni) a conferma di un libero «modus operandi», cioè del zizzagare immaginato per la rubrica. Partiamo.

ORWELL IN AGGUATO – Mio genero cambia auto: ne rottama una vecchia e ne compera un’altra di seconda mano. Chiedo lumi sull’acquisto e apprendo che è ibrida. Genero soddisfatto anche perché consuma meno e può ricaricare la batteria a casa. A questo punto, ricordando che sul tetto di casa ha un impianto fotovoltaico e visti i poco edificanti giochini che i gestori dell’elettricità stanno portando avanti sulla pelle di millanta cittadini (corrente in esubero pagata una «cialada», alla faccia di incentivi e sussidi sventolati), gli chiedo se può far capo anche alla sua produzione di elettricità. Risposta affermativa, con una precisazione: bisognerebbe pensare ad un accumulatore per lo stoccaggio delle eccedenze prodotte dal fotovoltaico. La cronaca sarebbe finita, ma poche ore dopo il colloquio riferito, arriva una aggiunta: Instagram mi recapita la pubblicità di un modernissimo accumulatore di energia elettrica con offerte che spaziano su vari modelli, ovviamente mirati alle esigenze dei potenziali interessati. Subito realizzo che in tanti anni di scrutamenti del flusso dei social mai mi era capitato di vedere offerte relative ad accumulatori di energia elettrica. Così invio una mail a mio genero per informarlo sia di queste offerte, sia del fatto che sto rivivendo una storia già collaudata a più riprese, riconducibile a un sempre meno casuale e surreale riferimento agli ascolti che le piattaforme social consentirebbero. Tempo mezz’ora e su Instagram compare uno di quei meme che ho imparato a selezionare e ad archiviare. È in inglese e non potendo riprodurlo provo a tradurlo: «Mia moglie mi ha chiesto perché parlo a bassa voce in casa. Le rispondo di temere che Mark Zuckerberg possa essere all’ascolto. Lei ha riso, io ho riso, Alexa ha riso, Siri ha riso». Partendo da queste coincidenze, e confidando nell’editoriale dell’edizione del 26 febbraio del capo redattore Carlo Silini («Non ditelo alle macchine, ma siamo meglio noi»), mi chiedo se per me non sia giunto il momento di un corso accelerato sul neoluddismo.

L’ALTRO SENTIERO – C’è un gran struggimento per l’intelligenza artificiale. Molti sperano di capire cosa sia; più o meno tutti si chiedono se potranno trarne beneficio grazie a nuovi sviluppi. Nel contempo segnali ed esempi negativi continuano ad alimentare timori e dubbi di fondo che toccano soprattutto il futuro del mondo dell’editoria e del giornalismo. Leggendo di come i progressi nella ricerca per l’intelligenza artificiale si siano un po’ arenati ho ritrovato questo passaggio, tolto da Le vespe di Aristofane, vivo e utile anche dopo oltre due millenni: «Sostenete quelli che cercano di farvi sentire qualcosa di diverso e conservate i loro pensieri: riponeteli in cassapanca come le mele cotogne, così i vostri panni odoreranno di intelligenza tutto l’anno». Ecco, ho pensato, forse anche l’intelligenza artificiale deve cercare cassapanca e mele cotogne per acquisire anche una memoria artificiale e «odorare di intelligenza».

ARTE MODERNA – Mi trovo alle prese con due pareri riguardanti l’arte. Il primo è comparso in una discussione concernente il limite dei tweet ai famosi 140 caratteri (si sosteneva che quando c’era il limite, cioè prima che arrivasse Musk con la sua X truffaldina e losca, il carattere colloquiale fosse prevalente e tenesse alla larga hater e acrobati dei fakes). Un partecipante poneva la seguente domanda: anche i tweet possono essere arte? Lapidaria la risposta di uno dei primi interlocutori: «Ah, certo: anche con gli stuzzicadenti si può fare arte». La seconda definizione è invece firmata dal critico d’arte ed editorialista Jerry Saltz, e mi arriva come una carezza al cuore: «Making art is like trying to photograph perfume» (ovvero fare arte è come cercare di fotografare un profumo). Mi domando se un giorno i cervelloni di X – o per loro gli sciamani degli algoritmi – capiranno che sono questi i post da privilegiare e non quelli pilotati da interessi commerciali o complotti politici.