La cultura della costruzione ha molte facce

by Claudia

Riflessioni a margine della giornata organizzata alla SUPSI intitolata «Ticino 2050: scenari»

Gli spazi nei quali viviamo sono il frutto di ciò che abbiamo voluto o potuto costruire. La cultura della costruzione (spesso indicata in Svizzera col termine tedesco di Baukultur) è l’espressione di questa attività umana, che include città e villaggi, edifici e paesaggi, monumenti storici e insediamenti, strade e piazze, ponti e giardini. Anche i processi di pianificazione ed edificazione fanno parte della cultura della costruzione, espressa tanto nel dettaglio artigianale quanto nella progettazione su vasta scala degli agglomerati. La cultura della costruzione unisce il passato, il presente e il futuro. L’espressione di questa cultura è evidenziata nel modo in cui gestiamo il nostro ambiente costruito. Detto questo, va sottolineato che la Baukultur non è una disciplina, ma è un invito a ragionare in modo trasversale. Quando parliamo di costruire i nostri spazi di vita, ragionando su temi quali i beni culturali e non solo, per ottenere un buon risultato dobbiamo cercare di collegare tutte le problematiche. Dobbiamo capire quanto le nostre scelte siano influenzate dal sistema politico, amministrativo, strutturale, dall’economia e dalle leggi della società nella quale operiamo. Il discorso si fa complesso, gli aspetti sono tanti e gli attori devono essere tanti. La cultura della costruzione si mette in moto soltanto se si accende un dibattito pubblico, che ovviamente coinvolge gli specialisti, ma che deve comprendere la cittadinanza, che va informata e della cui opinione va tenuto conto. I processi partecipativi sono parte integrante della cultura della costruzione.

È questo il pensiero che sicuramente hanno fatto gli organizzatori della giornata di studio tenutasi a Mendrisio il 4 marzo scorso: una giornata promossa dal Dipartimento ambiente costruzioni e design della SUPSI e dal nostro Dipartimento del Territorio, con il patrocinio dell’Ufficio federale della cultura. Il titolo era emblematico ed esplicativo: «Ticino 2050: scenari», una riflessione pubblica intorno al modo di abitare, costruire e pensare il territorio nell’ottica del prossimo futuro. Responsabile scientifico della giornata Matteo Vegetti, filosofo e professore SUPSI, che sottolinea come all’interno del DACD della SUPSI siano presenti tutte le competenze che rispondono alle domande base della Baukultur, e quindi siano in grado di affrontare anche da noi la cultura del territorio, con le sue questioni storiche e sociali, alla luce delle grandi trasformazioni che incombono. Innanzitutto, ci deve essere un cambiamento di paradigma nel pensare il nostro territorio, travalicando gli aspetti singolari e mettendo al centro gli interessi della società e quelli dell’uomo. I saperi che abbiamo oggi, pur efficienti, non bastano più. Devono fronteggiare trasformazioni improvvise, come quelle dettate dai cambiamenti climatici, e rispondere a molti altri interrogativi nuovi. Le discipline dovranno interagire: dobbiamo mettere insieme l’architetto, lo scienziato del clima, il biologo e l’ingegnere, in team sempre più allargati. Dobbiamo superare le dimensioni disciplinari attuali e forse creare nuove professioni, che sono ancora in attesa di un nome.

Ascoltando queste parole non posso fare a meno di pensare alla futura, e forse prossima, scomparsa dei piccoli studi di architettura, che operano in un territorio esiguo come il Ticino. Già, il Ticino, con il suo aspetto tradizionale, quello che si conserva ancora nelle valli, coi suoi valori artistici disseminati sul territorio. Inevitabilmente ne parlo con Giacinta Jean, responsabile del corso di laurea in conservazione e restauro presso la SUPSI. «Chi si occupa di conservazione, come me o come l’Ufficio cantonale dei beni culturali, è spesso visto come un freno allo sviluppo e come un nostalgico. Ma invito tutti a considerare i beni culturali come delle presenze fragili, con un valore che può facilmente perdersi, però importanti per la società, perché ci permettono di metterci in diretto contatto con il nostro passato. Lo sentiamo sempre più distante a causa del cambiamento dei nostri modi di vita, ma dobbiamo riportarlo vicino, perché è il nostro, e se lo sappiamo leggere avrà ancora molte storie da raccontarci». Quindi Trasformazione con la Conservazione? «Sì, ed è una bella sfida. È vero che sono due valori antitetici, però devono trovare un loro equilibrio, facendo anche sì che le opere a cui riconosciamo valore e importanza possano restare in buona salute nel tempo. Non fare grandi interventi, che possono snaturarle, ma assicurare una cura continua».

Nella trasformazione delle modalità che accompagnano la cultura della costruzione sta sempre più imponendosi l’apporto delle tecniche digitali e dell’Intelligenza Artificiale (AI). Luca Maria Gambardella, è stato impegnato per decenni ai massimi livelli negli studi sull’intelligenza artificiale, sia alla SUPSI sia all’USI, dove è professore: «Per il Ticino, l’università, le istituzioni e i professionisti dovranno trovare soluzioni praticabili ed efficienti e soprattutto dovranno saperle portare sul mercato. Vedo un ruolo molto ampio che va dalla formazione continua al saper adattarsi alle sfide tecnologiche. La rapidità di reazione oggi è un tema cruciale. Il lavoro dei progettisti va reso più veloce, così come la capacità di adattamento alle situazioni ambientali e alle esigenze degli utenti. L’intelligenza artificiale, quando funziona bene, lascia l’uomo al centro e lo “coccola”, gli dà la possibilità di lavorare meglio e di vivere meglio. Anche nella Baukultur alcune componenti dell’AI possono essere di grande aiuto. Arrivano nuove professioni che sono quella dei “Data scientist”, (professionisti che sviluppano strategie per l’analisi dei dati grezzi e ne traggono informazioni rilevanti per le diverse necessità aziendali) e anche i professionisti del “Machine learning” (capaci di insegnare alle macchine a lavorare in modo autonomo), ma soprattutto dovremo abituarci a lavorare di squadra con linguaggi comuni tra i professionisti: solo così risolveremo i problemi. Quello che ci serve oggi è una capacità di senso critico molto sviluppata. Il senso critico non si fa programmando il computer, ma respirando in maniera profonda quella che è la nostra cultura. Siamo sulla buona strada. Dobbiamo confrontarci nell’innovazione, mantenere la capacità di creare conoscenza e trasferirla. I tagli all’università non sono stati un segnale positivo ma esempi come lo Swiss Innovation Park di Zurigo, operativo dal 2016, e il futuro Parco dell’innovazione Ticino, che dovrebbe collaborare con esso dal 2032 dal “Quartiere Officine” di Bellinzona, sono delle buone iniziative».

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