Cambiare il mondo di notte, sui muri

A farmi intuire il fascino vertiginoso e la portata filosofica delle scritte sui muri è stato, anni fa, un monaco di clausura in Svizzera francese che, nella prima parte della sua vita, aveva visitato, con intenti poetico-antropologici, i gabinetti pubblici di numerose città. Aveva annotato le parole tracciate a penna, in matita, o incise col coltellino sulle pareti e sulle porte delle latrine. Partendo da quelle massime aveva poi scritto un testo d’ottima fattura che ebbe scarsissima diffusione; oggi è introvabile.

Le verità scurrili, volgari, quasi sempre fuori dalle righe di quella raccolta di frasi – spesso, ma non solo, focalizzate sui livelli basici del sesso e dei suoi ingovernabili impulsi – erano rivelatorie di un’umanità nascosta e senza voce. Proprio lì, nei luoghi delle esigenze primarie non rinviabili, scaturisce una laida e sincera retorica: ripetitiva, oscena e goliardica, espressione sfacciata di tutto ciò che di innominabile, segretamente ci governa. Una bibbia per freudiani, un vasto e grezzo manuale di scrittura del politicamente e del socialmente scorretto.

Svastiche, insulti rancorosi, dediche squallide, triviali filastrocche, disegni stilizzati di organi genitali e prestazioni (diciamo così) amatorie, professioni di fede politiche e sportive, numeri di telefono per fissare incontri disperati e senza filtri rosa: c’è tutto quello che nessuno oserebbe mai dire in pubblico e, al tempo stesso, il mondo sommerso e vulcanico della nostra psiche selvaggia.

Tra vandalismo e desiderio di lasciare un segno irriverente e polemico, ma anche creativo, sugli edifici della normalità controllata, gli umani hanno iniziato prestissimo a imbrattare le pareti. Lo attestano le scritte rinvenute dagli archeologi sugli affreschi di Pompei, o il famoso graffito palatino (più o meno del 200 d.C.) che raffigura un uomo crocifisso, con la testa di un animale, forse un asino, tracciato probabilmente per irridere il culto cristiano.

Quei «discorsi» sui muri sono tentativi di graffiare, quasi sempre clandestinamente, il mondo dominante, le sue regole, le sue logiche. E tutta la cultura che ne deriva, dagli insulti nei gabinetti ai proclami politici sulle barricate ferroviarie, dai graffiti sulle fabbriche alla street art, contiene il seme della critica sociale e culturale al contesto nel quale viene realizzata.

Scritte e immagini sui muri esprimono un universo parallelo, pubblico o privato, che partendo dall’istintualità animale o addirittura dall’inciviltà, può arrivare ad elevarsi a forme d’arte e di comunicazione nobilissime, coraggiose e positive.

Già qualche anno fa Banksy, leggendaria primula rossa dell’arte di strada, si è infilato nei cunicoli sotterranei nello scenario depresso di Gaza per andare a riempire le pareti con le sue attualissime icone pacifiste.

Più vicino a noi, c’è il progetto dei Nevercrew – lo presentiamo a pag. 43 – che saliranno a Mesocco e creeranno sulle pareti del paese uno zoo di balene, orsi come quelli dell’immagine di copertina, realizzata espressamente per «Azione», piccoli animali del bosco con l’intento di «portare i suoi visitatori quanto mai vicini alla natura e innescare in loro una dovuta riflessione sul rapporto che ci lega a questo Mondo. Il nostro Mondo».

Per quanto socialmente integrata e tutt’altro che clandestina, è una critica indiretta e visionaria alla realtà che ci circonda, sconnessa dalle proprie radici vitali. Sarà intrigante camminare per le vie di un villaggio trasformato in un libro scritto sulle pagine di pietra o di cemento dei suoi edifici.

Forse ci aiuterà, in futuro, a non ignorare anche creazioni meno famose e riconosciute, messaggi e codici immaginifici, inventati di notte da mani anonime e menti randagie, sempre in bilico tra arte, rabbia, ironia, amori, rivolta, paure esistenziali e poesia.

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