Nuova Delhi, a scontrarsi sono il mondo delle élites urbane e la realtà dei villaggi
Ben 969 milioni di aventi diritto al voto, di cui 18 milioni di diciottenni, 471 milioni di donne e 60 milioni di nuovi elettori. Ad andare a votare in India, il 19 aprile e il 1 giugno, sarà il 20% circa della popolazione mondiale: la più grande macchina elettorale della storia, con un numero di votanti pari alle popolazioni di USA, Brasile, Russia, Giappone, Francia, Inghilterra e Belgio messi assieme. La madre di tutte le elezioni passate e un modello da seguire per tutti coloro che pensano inconciliabili numeri così enormi e processo democratico. Si va a votare durante 7 giornate spalmate su 42 giorni. Necessari per motivi di sicurezza e per non rendere estenuanti le code al milione e mezzo di seggi elettorali che sono stati allestiti in tutto il Paese. E necessari, soprattutto, per poter rendere disponibili a tutta la popolazione i cinque milioni e mezzo di dispositivi per il voto elettronico.
«I nostri team percorreranno qualunque distanza per raggiungere ogni elettore, sia che si trovi nella giungla o su montagne innevate», dicono i funzionari della Commissione elettorale. «Andremo a cavallo, con elefanti, muli o elicotteri. Arriveremo ovunque». E siccome la legge indiana stabilisce che nessun elettore deve percorrere più di due chilometri per andare a votare, ne consegue che bisogna davvero trasportare le schede elettorali nelle regioni più remote con qualsiasi mezzo necessario. Alcuni di questi viaggi possono durare giorni: nel 2019 il seggio elettorale più alto del Paese si trovava a quasi cinquemila metri sul livello del mare nella valle di Spiti sull’Himalaya, raggiungibile soltanto a piedi. Nel 2009, un gruppo di cinque persone si è addentrato nella foresta di Gir nel Gujarat per raggiungere l’unico abitante di un remoto tempio indù. I funzionari elettorali hanno anche allestito una cabina elettorale a 4’650 metri di altitudine in un villaggio dell’Himachal Pradesh, rendendola il seggio elettorale più alto del mondo.
Quest’anno, per la prima volta, la Commissione elettorale ha dichiarato che gli anziani e i disabili possono votare tramite voto postale. Per le elezioni saranno mobilitati 15 milioni di impiegati e personale di sicurezza, alcuni dei quali provenienti da vari settori della pubblica amministrazione e temporaneamente assegnati ai seggi. Il Governo, visto l’alto numero di giovani che andrà a votare per la prima volta, ha lanciato via social media una campagna che si chiama «Turning 18». La campagna mira a rendere queste categorie di persone consapevoli dell’importanza di esercitare il loro diritto di voto, a promuovere l’impegno civico e il senso di responsabilità e a sottolineare il ruolo fondamentale dei giovani elettori nella costruzione di un futuro democratico per l’India. I risultati elettorali saranno resi noti il 4 giugno.
Tutti i sondaggi – come illustra l’articolo a lato – danno vincitore l’attuale premier Narendra Modi. A contendergli la vittoria, senza molte aspettative, una variopinta armata Brancaleone battezzata Indian National Developmental Inclusive Alliance (acronimo India). Dentro alla coalizione, partiti e leader locali che poco o nulla hanno in comune se non la volontà di vincere le elezioni a qualunque costo. Candidato di punta dell’opposizione, ancora una volta Rahul Gandhi nelle cui vene scorre il sangue della più famosa dinastia politica indiana: pronipote di Nehru, nipote di Indira, figlio di Rajiv e di Sonia. Ancora una volta, il ragazzo d’oro figlio dell’élite cerca di sconfiggere alle urne l’incarnazione del sogno americano in salsa indiana: Narendra Modi, figlio di un chaiwallah, un venditore di tè. Modi, che secondo i suoi detrattori è un nazionalista e suprematista hindu che cerca di minare alle fondamenta la democrazia, secondo i suoi sostenitori è colui che ha ridato all’India l’orgoglio nazionale rendendola in grado di sedere a tavola con l’Occidente su base paritaria. Ma soprattutto, aldilà della geopolitica e della politica internazionale, per milioni di persone è colui che ha garantito a 800 milioni di poveri forniture di grano e di bombole per il gas gratuite. Colui che ha portato l’elettricità e servizi igienici dove non esistevano, migliorando la vita di milioni di donne nei villaggi. Che ha garantito alle donne appartenenti a famiglie indigenti un mensile di 1250 rupie (circa 14 franchi, che però in un villaggio contano) per tirare avanti. Ancora una volta, a battersi sono due concezioni del mondo: il mondo delle élites urbane educate in Inghilterra o negli USA – che parlano di ideologia, democrazia e fascismo strisciante dimenticando che l’unica volta in cui in India le libertà civili sono state messe in pausa è stato ad opera di Indira Gandhi – e l’India della gente comune, della piccola borghesia, l’India dei villaggi: che è finalmente entrata nel ventunesimo secolo, che può mandare i propri figli a scuola e avere un conto in banca. L’India che può sognare il futuro.