Il Giappone che sprofonda nella solitudine

by Claudia

Il sistema perverso degli host clubs, quei locali dove uomini garbati e avvenenti intrattengono le clienti a pagamento, è solo uno dei segnali della crisi profonda in cui versa la società nipponica e diventa anche un problema politico

Le strade di Kabukicho sono una delle attrazioni principali dei turisti a Tokyo: musica, insegne luminose, karaoke e locali eccentrici, forse poco comprensibili agli occhi di un occidentale. L’area del quartiere Shinjuku della capitale giapponese che una volta era dedicata alla tradizionale arte del teatro Kabuki, da cui prende il nome, oggi è considerata il centro di gravità dell’intrattenimento. Ma anche del malaffare, che in Giappone prende spesso strade inedite: il proibizionismo nipponico rende lo spaccio di droga un’attività particolarmente pericolosa, e di frequente le organizzazioni criminali finiscono per offrire altro. E c’è una cosa di cui a quanto pare hanno particolarmente bisogno i giapponesi: la compagnia. Si chiamano host clubs e concept cafes, e a Kabukicho ce ne sono centinaia: non sono luoghi di prostituzione, non nel senso in cui lo si intende in Occidente. Chi frequenta gli host clubs lo fa per farsi intrattenere da uomini o donne galanti, che si offrono per conversazioni, giochi, compagnia in cambio di denaro. Ma niente sesso.

L’anno scorso però il Governo giapponese ha attuato un giro di vite su queste attività: l’allarme è arrivato dai media locali e dalle associazioni contro la violenza sulle donne, vittime di un sistema che sfrutta la solitudine delle ragazze, anche poco più che diciottenni, e che le fa finire spesso nella trappola della prostituzione. Mentre sempre più donne frequentano i club dove uomini garbati e avvenenti le intrattengono, i gestori dei locali hanno reso una consuetudine la pratica che mira a fare in modo che la cliente in cerca di compagnia, tra chiacchiere e bicchieri, non si renda conto di quanto sta spendendo, oscurando i prezzi delle bottiglie: nella finzione della situazione, è l’uomo che intrattiene la donna a saldare il conto a fine serata. Solo che poi, nello schema criminale, quando la donna si rende conto di non riuscire a risarcire l’host con il denaro, è costretta a iniziare il lavoro come prostituta. Alla fine dello scorso anno il «Japan Times» ha intervistato Riri, della prefettura di Kanagawa, che quando aveva diciannove anni ha iniziato a frequentare un host club di Kabukicho per incontrare Roland, un famosissimo host, biondo e dal fisico statuario, che appare di frequente anche in televisione. Quel locale – dove ogni drink ha un prezzo quasi dieci volte maggiore rispetto alla media di Tokyo – nel giro di poco tempo era diventato una dipendenza per Riri, tanto che in due mesi la ragazza aveva accumulato un debito dell’equivalente di quasi diecimila euro. Così ha iniziato a prostituirsi, ma vivendo da senza tetto: tutti i suoi guadagni andavano all’host club.

È anche per questo che le autorità giapponesi da qualche mese hanno iniziato a effettuare controlli anche molto vistosi, con decine di poliziotti in divisa che pattugliano di frequente non solo l’area di Kabukicho, ma tutte le zone considerate «d’intrattenimento per adulti» nei capoluoghi di trentatré diverse prefetture. Nel mese scorso erano state inoltrate almeno duecento sanzioni amministrative a locali che non esponevano i prezzi delle consumazioni in modo chiaro.

Il sistema degli host clubs (davvero molto frequentato) è solo uno dei segnali di una crisi profonda della società giapponese, che è diventata anche un problema politico per il Governo di Tokyo. Nel 2021, durante il primo picco dell’isolamento a causa della pandemia di Covid-19, l’Esecutivo guidato da Yoshihide Suga ha creato un Ministero responsabile delle misure contro la solitudine e l’isolamento dei residenti, e ha creato una serie di istituzioni locali che si occupano di ascoltare e poi controllare chi è potenzialmente a rischio isolamento. Secondo un sondaggio condotto dal Governo nel 2022, il 40,3 per cento delle persone ha dichiarato di sentirsi solo, con un aumento del 3,9 per cento rispetto all’anno precedente. Il numero di persone che hanno dichiarato di non essersi mai sentite sole è diminuito di 5,3 punti percentuali, passando al 18,4 per cento. La pandemia non ha fatto che aggravare una situazione già difficile: il Giappone continua ad avere un numero di suicidi altissimo tra i Paesi industrializzati, e la solitudine combinata ad ansia e depressione, l’isolamento insieme con la sua conseguenza più estrema, come il fenomeno degli hikikomori (chi decide di ritirarsi dalla vita sociale e magari di comunicare col mondo solo attraverso la tecnologia), sono tra le cause principali dell’emergenza.

Secondo gli esperti, c’entra lo scarso bilanciamento fra la vita privata e quella lavorativa, il collettivismo tipico della fase di boom economico giapponese che ha portato poi alla fase di stagnazione e a quella che viene definita la «Generazione perduta», l’enorme pressione e la rigidità dei rapporti umani che persistono nella società nipponica. Il 1° aprile scorso il Parlamento giapponese ha dato il via libera a una legge che mira a prevenire solitudine e isolamento, definiti problemi «per la società nel suo complesso». La norma obbliga i Governi locali a istituire gruppi di sostegno per le persone sole e a formare assistenti che siano in grado di aiutarle. Yoshimi Kikuchi, professore di Diritto della sicurezza sociale alla Waseda University, che lavora come consulente del Governo di Tokyo, ha detto al quotidiano «Asahi Shimbun» che «esiste un’ampia gamma di problemi legati alla solitudine e all’isolamento, tra cui la deprivazione economica e la conseguente morte in solitudine», oltre al fenomeno cosiddetto «80-50», quello in cui «i genitori ottantenni vivono insieme ai figli cinquantenni chiusi in casa e sono socialmente isolati».

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