La Svizzera e la guerra in Ucraina

Non è decisamente un gran momento per la neutralità elvetica, un valore che assomiglia sempre di più a una coperta troppo corta. La guerra in Ucraina, quella a Gaza e le tensioni crescenti tra Israele e Iran sono senza dubbio le prove maggiori a cui è confrontata la neutralità del nostro Paese. Sfide che inevitabilmente innescano anche accesi dibattiti interni. Una scacchiera delicata sulla quale in questi ultimi tempi ci sono state alcune mosse politiche, tutte degne di nota e tutte in relazione all’invasione russa dell’Ucraina. Ma andiamo con ordine.

I lavori preliminari avevano dato qualche speranza al fronte del «sì», di chi vorrebbe che il nostro Paese aderisca al più presto alla task force internazionale che si occupa di cercare e di bloccare gli averi degli oligarchi russi e bielorussi depositati in Occidente, Svizzera compresa. Seppur di misura, con un solo voto di scarto, dai lavori commissionali era scaturito un sostegno a questa adesione, sollecitata con forza dal G7 e da diversi Paesi dell’Unione europea. Mercoledì scorso, invece, il Consiglio nazionale ha deciso diversamente, facendo leva proprio sul concetto di neutralità. Per il Parlamento, come pure per il Governo, il nostro Paese sta già facendo la sua parte nel dare la caccia ai fondi russi sospetti, inutile pertanto aderire alla task force del G7. Un passo di questo genere costringerebbe Berna a schierarsi in modo deciso a sostegno dei sette Paesi più industrializzati del mondo, un «blocco economico» a chiara trazione statunitense. Meglio rimanerne fuori, per non prestare il fianco a chi ci potrebbe accusare di parzialità, e il riferimento è ovviamente alla Russia – che ha già più volte criticato la scelta di campo del nostro Paese – ma anche alla Cina, all’India e ad altri Stati del cosiddetto Sud globale.

La collaborazione con la task force comunque continua, seppur solo a livello tecnico. Le stime dicono che nel nostro Paese i patrimoni legati agli oligarchi russi, più o meno vicini a Putin, ammonterebbero a circa 200 miliardi di franchi. Berna, con la Segretaria di Stato dell’economia, afferma di averne già congelati 7, anche se tra i parlamentari in aula c’è chi ha puntato al raddoppio: gli averi bloccati si aggirerebbero attorno ai 14 miliardi. La sostanza, tutta politica, non è comunque legata alle cifre ma alla necessità del nostro Paese di continuare ad agire in modo autonomo. E questo anche alla luce dell’iniziativa popolare chiamata «per la salvaguardia della neutralità», che in poco tempo ha raccolto oltre 130mila firme e su cui si voterà tra un paio d’anni. Un’iniziativa targata UDC che mira a una neutralità permanente e armata, un principio ferreo che impedirebbe anche la ripresa da parte del nostro Paese di sanzioni decise a livello internazionale. Un’adesione alla task force del G7 rischierebbe pertanto di portare acqua al mulino blocheriano. Ed è anche questo uno dei motivi alla base di questa recente decisione del Consiglio nazionale. In fondo, ci dice la maggioranza del Nazionale, la nostra neutralità non può essere costantemente messa in discussione, non si farebbe che aggiungere altre ammaccature a questo principio fondamentale della nostra politica estera.

E visto che di politica estera si tratta veniamo al secondo grande tema di questi giorni, quella che il Consiglio federale nei suoi comunicati ufficiali chiama la «Conferenza di alto livello sulla pace in Ucraina». Appuntamento il prossimo 15 e 16 giugno, sul Bürgenstock, nel Canton Nidwaldo. A ospitare questo vertice un albergo d’alto rango, con vista imprendibile sul Lago dei Quattro cantoni. Una struttura scelta per ragioni di sicurezza, il luogo si presta più di altri, hanno fatto sapere gli esperti della Confederazione, per garantire la giusta protezione ai tanti ospiti in arrivo dai quattro angoli del mondo per cercare di individuare una via che possa portare alla pace in Ucraina. Nessuno, tantomeno il nostro ministro degli esteri Ignazio Cassis, si fa comunque delle illusioni. L’assenza certa della Russia impedisce di compiere concreti passi verso la pace. Ma se sul Bürgenstock arriveranno anche i rappresentanti di Cina e India, due tra i Paesi oggi più vicini alla Russia, allora la Conferenza potrebbe segnare una tappa significativa, seppur non risolutiva, verso la fine delle ostilità. Al momento si sa soltanto che nei mesi scorsi, nella cosiddetta «fase esplorativa», questo incontro «di alto livello» ha ottenuto un significativo sostengo su scala internazionale. La Svizzera mette dunque in campo i buoni uffici di un Paese per sua natura pronto alla mediazione. Un modo per far capire, anche internamente, che giocare la carta della neutralità può ancora portare dei frutti, perlomeno tra chi fa del rispetto del diritto internazionale uno dei principi fondamentali per la stabilità di tutto il pianeta.

La diplomazia comunque non basta. Al nostro Paese, come del resto a tanti altri, è richiesto anche uno sforzo finanziario per aiutare l’Ucraina a livello umanitario ed economico. Un sostegno che il Consiglio federale ha deciso di intensificare sul lungo termine, con un programma che si estenderà per i prossimi dodici anni, con un impegno finanziario di 5 miliardi di franchi fino al 2036, e cioè circa 420 milioni all’anno. In una prima fase, per i prossimi quattro anni, l’aiuto all’Ucraina ammonterà a un miliardo e mezzo di franchi, finanziati interamente dai fondi stanziati per la Cooperazione internazionale. Un travaso contabile che ha fatto uscire dai gangheri diverse organizzazioni umanitarie. Alliance Sud, il centro di competenze per la cooperazione e lo sviluppo internazionali, ha definito «inaccettabile» il metodo di finanziamento scelto dal Governo, a rischio c’è il lavoro di diverse ONG svizzere attive nei Paesi più poveri del mondo. Tocca ora al Parlamento occuparsi del tema, quando in autunno dovrà occuparsi della strategia svizzera in questo ambito, per i prossimi quattro anni. In gioco qui c’è la tradizione umanitaria del nostro Paese, uno dei pilastri su cui poggia la politica estera elvetica. Lavori in corso, dunque, per definire il posto del nostro Paese sullo scacchiere internazionale. E per tenere perlomeno a galla la neutralità e la tradizione umanitaria elvetiche.

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