Tra il ludico e il dilettevole: fischiando, l’essere umano esprime messaggi diversi, che vanno dal semplice richiamo, al vero e proprio linguaggio, passando per la musicalità
In piena notte, camminando per le vie deserte, un passante è assorto in un’attività piuttosto ordinaria. Sta fischiettando: un’attitudine che, assecondata da un’andatura dinoccolata, sottintende diverse cose: assenza di pensieri grevi, una sorta di temporanea spensieratezza, un’allegria procuratagli da una giornata ricca di soddisfazioni. E, aggiungiamo noi, una mente sgombra da impegni importanti per l’indomani, senza l’incombenza di svegliarsi presto con vincoli e orari da onorare. Quell’occupazione temporanea gli procura, diciamolo pure, una discreta dose di soddisfazione che rinvigorisce l’entusiasmo e lo slancio con cui vi si consacra.
In piena notte, l’individuo non si cura per nulla del fatto che qualcuno potrebbe sentirlo: ma il caso vuole che, ai piani superiori di una casa di quel quartiere, un uomo non riesce a prendere sonno. È estate, fa caldo, la finestra è spalancata e, rigirandosi nel letto, è sul punto di riaddormentarsi. Si direbbe che ce l’abbia fatta, quando quel rumore lo ridesta all’improvviso. Ciò che lo irrita ancora di più, però, è che quel fischiettare risulta decisamente maldestro: goffo, fuori tempo, stonato. E a peggiorare le cose, poi, c’è il fatto che il passante che fischietta non sembra avere l’intenzione di allontanarsi: indugia, temporeggia senza un motivo apparente.
In un certo senso siamo al cospetto di un’esperienza pirandelliana. Chi fischia, possiamo immaginare, si crede un’artista, un abile modulatore di suoni intento a interpretare una melodia con eleganza. Ma il suo fischio, a un ascoltatore esterno, risulta irrimediabilmente sgraziato, maldestro, addirittura grottesco. La sottile tragicità della situazione risiede, in tal senso, nell’esaltazione non condivisa, nello scarto fra la percezione interna di chi fischia, e l’orecchio imperturbabile di chi ascolta. D’altra parte, però, siamo in presenza di un tema che è, a sua volta, pregno di significato, nonché portatore di una filosofia di vita: chi attraversa le proprie giornate fischiettando (meglio se lo fa in modo melodico), affronta le proprie sfide con leggerezza, senza crucciarsi troppo. Meglio non esagerare, però, altrimenti si corre il rischio di essere accusati di… infischiarsene. Di fischi, a ben vedere, ce ne sono molti, e di tanti significati. Un fischio, se risuona in modo chiaro e improvviso, può fungere da richiamo che, in ragione della sua natura improvvisa, ci riporta alla realtà. Ma c’è modo e modo di fischiare: fischiare a un cane che si allontana è un modo efficace per trasmettere un comando, ma fischiare alle donne per manifestare, in maniera un po’ rozza e primitiva, un’approvazione, non è il modo più elegante e socialmente accettabile per tentare un approccio. Ma si può anche fischiare per disapprovare, come chi allo stadio fischia la squadra avversaria. E, rimanendo in ambito sportivo, non si può non pensare al fischio dell’arbitro che, a differenza di quello del tifoso, è portatore di autorevolezza e severità, e viene modulato al fine di mantenere il rispetto delle regole.
Antropologicamente, si può supporre che il fischio sia sempre stato uno dei modi più affidabili per richiamare l’attenzione. Di certo uno dei più economici, visto che ottiene un risultato senza alcun supporto, strumento, o utensile esterno. Al massimo uno usa le dita, che sono però parte del corpo. Da questo punto di vista, il fischio rappresenta alla perfezione ciò che Marcel Mauss (1872-1950) chiamava una tecnica del corpo. Come sosteneva l’antropologo francese nel suo famoso saggio Le tecniche del corpo (1936), il più naturale strumento tecnico e mezzo operativo dell’essere umano è per l’appunto il suo corpo.
Fischiando, l’uomo usa il proprio corpo per modulare una gamma di suoni che gli permettono di trasmettere un ventaglio ampissimo di messaggi, anche molto diversi. Al contempo, il fischio può raggiungere un invidiabile grado di sofisticatezza, come testimonia il fatto che esiste un vero e proprio linguaggio costruito non da parole, ma da fischi: si chiama silbo gomero ed è praticato da alcuni abitanti dell’isola vulcanica di La Gomera, nell’arcipelago delle Canarie (da qui il nome, che letteralmente significa il sibilo de La Gomera).
Oltre che una tecnica per attirare l’attenzione e, nella sua manifestazione più compiuta, un linguaggio articolato, il fischio può diventare anche, a vari livelli, un’espressione più o meno riuscita di musicalità: si va dal passante che fischia in modo grottesco a chi, fischiettando, intona magistralmente una delle ballate più memorabili degli anni Ottanta (conoscete Patience dei Guns N’ Roses?).
Come succede con tutte le tecniche, a metterci l’impegno a zufolare si può anche imparare. Un po’ tutti abbiamo provato, con risultati alterni, ad acquisire questa tecnica tanto efficace, in grado di fendere l’aria e di richiamare con facilità l’attenzione. C’è chi poi ha abbandonato la sfida, sconsolato a fronte di scarsissimi, per non dire inesistenti, risultati, e c’è chi ha saputo affinare, consolidare, addirittura celebrare la propria tecnica, consacrandola a molteplici usi, dai più pragmatici ai più melodici. E sulla rete esistono anche dei tutorial che insegnano a fischiare.
Dal semplice fischio a quello più elaborato, ci imbattiamo in esperienze diverse e spesso contrastanti. Come espressione di spensieratezza e allegria, il fischio è veicolo di buon umore ma, in altri frangenti, può caricarsi di significati canzonatori, esprimere un dissenso o una protesta (quella del tifoso) o un richiamo autorevole (quello dell’arbitro). Quando il fischio diventa melodia, può fungere da supporto a una ballata rock che segna un decennio, oppure servire a creare un’atmosfera di sospensione, di mistero. Vi ricordate la sigla di Xfiles? E quel fischio iconico della colonna sonora de Il buono, il brutto e il cattivo composta da Ennio Morricone, che ci proietta all’istante nell’inconfondibile mondo del Far West?
E poi ci sono i fischi non umani. Come quello del treno, che ne sottolinea il passaggio sgombrando la via. Ma penso anche ai fischi che, in una sala motori, segnalano un allarme, magari accompagnati da uno sbuffo di vapore. E poi immagino, ripensando ai film Western, il sibilo di una pallottola scansata che solleva un nugolo di polvere. E poi, dopo, solo silenzio…