L’ombra dell’estrema destra sulle Europee

Nubi di piombo s’addensano sui cieli dei 27 Paesi dell’Ue. Dal 6 al 9 giugno prossimi i cittadini degli Stati membri si recheranno al voto per rieleggere il Parlamento di Strasburgo, e voci preoccupate si levano per segnalare il pericolo, oggi più concreto che mai, che l’estrema destra abbia non soltanto ad avanzare ma che dilaghi, come un’onda anomala, travolgendo gli equilibri dell’Unione, finendo per oscurare i principi stessi che stanno alla base delle ormai antiche istituzioni dell’Ue.

Il sondaggio Ipsos per Euronews, pubblicato dal «Corriere della Sera» il 19 marzo scorso, non soltanto indica che i gruppi ultraconservatori, euroscettici, xenofobi e sovranisti della variegata famiglia dell’estrema destra sono in testa in 6 Paesi Ue, tra i quali spicca la Francia, ma che in prospettiva si potrebbe profilare lo scenario da incubo di una Europa ingovernabile. Nel Paese transalpino il Rassemblement National di Marine Le Pen, nelle intenzioni di voto, con il 30,7%, è avanti di oltre 10 punti rispetto al partito del presidente Emmanuel Macron: tutto il resto è un panorama di frantumazione delle forze politiche storiche della Quinta Repubblica. Ma il caso più inquietante è quello tedesco. Dal voto in Germania infatti dipende in misura determinante la riconferma alla presidenza della Commissione della cristiano-democratica Ursula von der Leyen: nella migliore delle ipotesi, in caso di un mandato bis, la cosiddetta «maggioranza Ursula», formata da popolari, socialisti e liberali, dovrebbe essere allargata quantomeno a una quarta forza, cioè ai Verdi. Suscita angoscia il voto della Germania perché, sulle urne, grava la minaccia di AfD (Alternative für Deutschland), un partito che per certi versi ricorda la duplice destra nazionalsocialista e tedesco-nazionale che conquistò il potere, con Hitler, nel gennaio del 1933, con un Governo di coalizione aperto ai fiancheggiatori di centro.

L’AfD, nelle intenzioni di voto rilevate da Ipsos-Euronews, si collocherebbe al terzo posto, con il 16% dei suffragi potenziali, appena poco sotto l’Spd del cancelliere Olaf Scholz, ferma al 17%, e a distanza di relativa sicurezza rispetto alla prima forza, le due Unioni cristiane (Cdu/Csu), in leggera ripresa dopo la sconfitta alle elezioni federali del 2021, ma in ogni caso sotto la soglia del 30%. L’AfD sta affilando i coltelli, nel tentativo di rendere ingovernabile il Paese. Il partito xenofobo è già la seconda forza praticamente in tutti i Land dell’ex Ddr, ad eccezione della Città-Stato di Berlino, e anche nel Parlamento dell’Assia. Che cosa accadrebbe se l’AfD, alla fine, dovesse affermarsi, al di là dei pronostici, addirittura come prima forza della Germania, la Nazione-guida dell’Ue, in quanto economia egemone dei 27 e centro propulsore dell’unità europea?

Semplice: la candidatura von der Leyen svanirebbe come neve al sole e l’Europa entrerebbe in una spirale regressiva senza precedenti. Per comprendere a quali rischi sia esposta oggi l’Europa, per effetto della simbolica incognita del voto tedesco, bisogna ricorrere alla lezione della storia. E ricordare la Repubblica di Weimar, che governò lo sconfitto Reich, dal 1919 fino all’avvento di Hitler. Il parallelo storico con la debole compagine statale e istituzionale uscita dalle macerie della Grande guerra insegna che alla lunga le grandi coalizioni, tra i socialdemocratici e il Zentrum, non sono paganti. Lo si è visto con le ultime elezioni federali del 2021, nelle quali l’Spd e Cdu/Csu non hanno neppure raggiunto insieme la maggioranza assoluta dei suffragi, dopo un quindicennio quasi ininterrotto di Große Koalition. Nel 2005 le tre forze dominanti disponevano ancora del 70% circa delle preferenze, in continuità con il sessantennio precedente.

A Weimar le grandi coalizioni dominarono il paesaggio politico, con poche pause, ma entrarono definitivamente in crisi dopo la prima, clamorosa affermazione elettorale dei nazisti che, al rinnovo del 5° Reichstag, il 14 settembre 1930, raccolsero il 18,3% dei consensi e 6,4 milioni di preferenze. Da allora, e fino all’avvento del Führer, fu un succedersi di Governi presidenziali, gabinetti tecnici, privi di un vero sostegno parlamentare. Ciò che accadde a Weimar rischia di riprodursi oggi, su più larga e generale scala, per effetto della crescente impossibilità sistemica di generare maggioranze democratiche? Difficile dirlo, ma è bene osservare che l’ascesa di Hitler, e la rovinosa caduta dei deboli assetti di Weimar, non fu solo il parto di un’irresistibile ascesa dell’Nsdap, i nazionalsocialisti. Fu il combinato disposto della unione delle due forze più virulentemente antisistema, i comunisti della Kpd, e le camicie brune adornate con la svastica. La Repubblica democratica di Weimar cominciò a vacillare dopo che, alle elezioni del 14 settembre 1930, comunisti e nazi giunsero a totalizzare circa un terzo dei voti. Ne seguì un crescendo di scioglimenti anticipati del Reichstag: il 31 luglio 1932 gli hitleriani fecero un salto al 37,3% e i comunisti crebbero al 14,3%. Insieme queste due forze antisistema avevano totalizzato più del 50% dei suffragi: per l’esattezza, 13,7 milioni di voti i nazisti, e 5,2 milioni la Kpd. Al rinnovo del 7° Reichstag, il 6 novembre 1932, le croci uncinate ottennero il 33,1%, mentre i comunisti balzarono al 16,9%, con circa 6 milioni di consensi. Non vuol dire che la storia si ripeterà oggi, ma sono precedenti che dovrebbero ammonire tutta quanta la cittadinanza europea che abbia a cuore il futuro dell’Unione.

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