Quando Israele non reagì

L’Iran ci aveva abituati alle guerre per procura. Da anni il regime di Teheran arma Hezbollah in Libano, Hamas e la Jihad islamica a Gaza, gli Houthi in Yemen, più le sue milizie in Siria e in Iraq. Per la prima volta, nella primavera del 2024, l’Iran ha colpito direttamente Israele. L’ha fatto come avvertimento più che come atto di guerra. È stato un attacco annunciato, Israele e i suoi alleati hanno avuto modo e tempo di attutirlo, evitando vittime civili e militari. Eppure un’altra linea rossa è stata valicata. Tutti speriamo ora che Israele non colpisca l’Iran e non avvii un’escalation. Tuttavia l’Iran ha ripetuto anche in questa occasione che il suo obiettivo è distruggere Israele, e fare di Gerusalemme una città solo musulmana, eliminando gli ebrei. Se Israele colpisse i luoghi dove l’Iran sta preparando la bomba atomica sarebbe difficile non catalogare l’intervento come una forma di autodifesa. Benny Gantz, cioè la speranza di Joe Biden, dell’Europa e di tutti coloro vogliono liberarsi di Benjamin Netanyahu, ha già detto che Israele in qualche modo risponderà. Se invece decidesse di non farlo, ci sarebbe un precedente incoraggiante.

Nel gennaio 1991 Saddam Hussein colpì Israele con i missili Scud, usati come esca per indurre lo Stato ebraico a rispondere e a sfasciare così la coalizione araba riunita da Bush padre attorno agli USA per liberare il Kuwait. Quella guerra fu un po’ il mio esordio nel giornalismo: giovane redattore degli Esteri de «La Stampa», ogni notte avevo il compito di preparare una pagina in cui si riassumeva tutto quello che era accaduto: la reazione degli israeliani agli attacchi iracheni era la preoccupazione principale del mondo, e pure degli USA, visto che un terzo dell’attività bellica americana fu rivolto a distruggere le basi mobili da cui gli iracheni bombardavano lo Stato ebraico. Ci fu anche un allarme chimico, ricordo gli abitati di Tel Aviv e di Haifa scendere nei rifugi con le maschere antigas, immagini che non si vedevano dai tempi della prima guerra mondiale. Premier di Israele era allora Yitzhak Shamir, capo del Likud, il partito di Netanyahu. Gli Scud fecero danni molto più gravi dei droni e dei missili lanciati dall’Iran nella notte tra il 13 e il 14 aprile scorso; eppure Israele tenne i nervi saldi e non reagì.

Anche stavolta, come nel 1991, per fermare l’attacco a Israele è intervenuta una coalizione, di cui fanno parte pure Paesi arabi come la Giordania e l’Arabia Saudita. È una coalizione che Biden ha intessuto negli anni in cui era vicepresidente di Obama. Trump ha lavorato per sottoscrivere i cosiddetti accordi di Abramo, aperti a israeliani e sauditi. Gli ayatollah sciiti non sono così amati in Medio Oriente. Purtroppo non sono isolati come lo era Saddam Hussein. Attorno a loro hanno le milizie armate di cui parlavamo prima, a cominciare da Hezbollah e dagli Houthi passando per Hamas. E dietro di loro hanno la Russia di Putin, che ha espresso la sua solidarietà sia ad Hamas sia agli ayatollah, e la Cina. Intervistato da Lucia Goracci, inviata della tv pubblica italiana, l’ex capo dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence degli affari interni di Israele, ha detto che Israele non sarà mai al sicuro fino a quando non sarà data una speranza ai palestinesi. Più ancora che una speranza, ai palestinesi servirebbe uno Stato. Questo è il limite degli accordi propagandisticamente definiti di Abramo: l’alleanza commerciale, tecnologica, strategica tra Israele, Emirati arabi uniti e in prospettiva Arabia saudita veniva stipulata sulla pelle dei palestinesi. Trump si illudeva e si illude (Dio ci scampi dalla sua rielezione) che i palestinesi si possano comprare, magari costruendo nuovi grattacieli sul mare di Gaza con tanti bei casinò, come ha proposto. Ovviamente le cose sono molto più complicate di così. I palestinesi non chiedono casinò ma libertà e dignità. Gli israeliani chiedono sicurezza; non accetteranno mai uno Stato palestinese in mano a dirigenti determinati a distruggere Israele. Yasser Arafat era per gli israeliani un nemico accanito; ma era un laico. Hamas è una filiazione dei Fratelli musulmani, estremisti sunniti, finanziata e armata dall’Iran, estremisti sciiti. In un primo tempo era servito alla destra israeliana a dividere il fronte palestinese; ma ora il calcolo cinico di Netanyahu si è ritorto contro di lui. Ovviamente agli ayatollah del benessere, della salvezza e del futuro dei palestinesi non importa nulla; loro stanno giocando un’altra partita. E purtroppo non la stanno perdendo.

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