Se in gioco c’è il futuro dell’Europa

by Claudia

Tra il 6 ed il 9 giugno verrà eletto il nuovo Parlamento europeo. Il significato del voto e quali sono le forze in campo

Tra poco più di un mese, ossia tra il 6 ed il 9 giugno, l’elettorato dei 27 Paesi che compongono l’Unione europea è chiamato alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo. Trattasi di scegliere ben 720 deputati che rimarranno in carica cinque anni, fino al 2029. La campagna elettorale è in corso un po’ ovunque, ma manca di slancio e di vitalità, e si situa a un livello più basso di quello che, di solito, caratterizza una campagna elettorale la cui posta in gioco è nazionale. Per di più spesso vengono dibattuti temi nazionali e non temi che riguardano le competenze e l’attività dell’Europarlamento. Si assiste a una distanza degli elettori, in certi casi addirittura un’indifferenza, che trova le sue radici nella lontananza geografica della sede del Parlamento, nelle poche informazioni che vengono diffuse sul lavoro dei parlamentari eletti, e nell’ignoranza delle decisioni che vengono prese rispetto a quelle che, con una regolarità quasi quotidiana, scaturiscono da un Parlamento nazionale.

Eppure l’assemblea con sede a Strasburgo prende decisioni che influenzano la vita quotidiana dei cittadini europei. Senza voler entrare nel novero dei suoi poteri, basta ricordare alcune delle prerogative di questa assemblea. Essendo l’unica autorità dell’Unione eletta dal popolo, l’Europarlamento rappresenta gli interessi dei cittadini e agisce come loro voce all’interno dell’Ue; controlla l’operato della Commissione europea e può rifiutare la nomina del presidente della Commissione; approva il bilancio dell’Unione europea e può così influenzare le sue politiche e le sue priorità; infine partecipa alla preparazione e all’adozione degli atti legislativi dell’Unione.

Qual è la posta in gioco di queste elezioni? La risposta ruota intorno alla futura maggioranza dell’assemblea. Quali forze politiche la comporranno e quale spazio politico occuperanno? Oggi nell’Europarlamento ci sono sette gruppi politici che riflettono le forze che erano presenti nei Paesi membri cinque anni or sono. Il gruppo più importante è il Partito popolare europeo (PPE), che rappresenta la destra tradizionale. Il secondo gruppo per importanza numerica è quello dei socialisti, seguito dai gruppi dei centristi e dei verdi. Al quinto e al sesto posto seguono i due gruppi della destra radicale, ossia Identità e Democrazia, comprendente l’AfD tedesca, il Rassemblement National francese e la Lega di Matteo Salvini, nonché i Conservatori e riformisti europei, presieduti dalla presidente del Consiglio in Italia Giorgia Meloni. Il settimo e ultimo gruppo è quello della Sinistra. La maggioranza attuale si appoggia soprattutto sulle tre principali forze politiche presenti, ossia i popolari, i centristi ed i socialisti.

L’evoluzione politica osservata negli ultimi anni in molti Paesi fa però sorgere qualche timore, o qualche dubbio, sulla possibilità che questa maggioranza possa sussistere anche nella prossima legislatura. Le forze della destra radicale hanno fatto progressi in molti Paesi e i sondaggi prevedono per loro consistenti guadagni elettorali. Qualche osservatore pronostica addirittura un radicale cambiamento di maggioranza e si diletta a enumerare i successi di queste forze estremistiche. In alcuni Paesi sono entrate a far parte della coalizione di Governo. È così in Italia, Ungheria, Finlandia, Svezia, Slovacchia, Repubblica Ceca. In altri Paesi rappresentano una delle principali forze politiche attive, come in Olanda, con Geert Wilders, leader del Partito per la libertà, in Francia, con Marine Le Pen e il Rassemblement National, in Germania con l’Alternative für Deutschland (AfD) e in Austria con il Partito della Libertà (FPÖ) guidato da Herbert Kickl. Di fronte a questi successi poco spazio hanno trovato le loro sconfitte, anche se si sono rivelate importanti per le forze democratiche. Sconfitte come la caduta del Governo polacco o i mancati consensi popolari al movimento Vox alle ultime elezioni legislative in Spagna. Queste forze non sono tutte uguali ma hanno una comune base di valori. Difendono una visione conservatrice della società, fondata sulla famiglia tradizionale, ed esaltano il nazionalismo. Il loro cavallo di battaglia è l’immigrazione, ritenuta la causa di tutti i mali, in particolare della violenza e della criminalità nelle società occidentali.

Di recente si sono impossessate anche di quella che definiscono l’ecologia punitiva, ossia le decisioni prese dai Governi e dall’Unione europea per lottare contro i cambiamenti climatici. Sul piano internazionale, la maggior parte di queste forze nasconde con molta difficoltà la propria simpatia per la Russia di Vladimir Putin. Una simpatia che soltanto l’aggressione dell’Ucraina, con l’indignazione che ha provocato nell’opinione pubblica europea, è riuscita a smorzare. Nei confronti dell’Unione europea le forze della destra radicale hanno corretto il tiro. Oggi non chiedono più di uscire dall’Ue e di abbandonare l’euro. Vi hanno rinunciato, probabilmente perché coscienti dell’utilità dell’Unione e dell’assenza di un sostegno popolare per una uscita. La Brexit è stata negativa per la Gran Bretagna ed è difficile immaginare oggi uno Stato pronto a compiere lo stesso passo. L’Ue ha saputo affrontare le recenti gravi crisi con un certo successo e sicuramente meglio di un Governo nazionale isolato. È stato così con la pandemia e con il rilancio dell’economia rivelatosi subito necessario. È stato così con la guerra in Ucraina e con la crisi energetica sorta dopo il varo delle sanzioni internazionali decise contro l’aggressore. Il modo con il quale queste crisi sono state affrontate ha dato origine a una sorta di cultura strategica europea.

La destra radicale non accetta questa evoluzione e, quindi, non accetta l’Unione europea come è oggi, né gli obiettivi verso i quali intende progredire. La sua ambizione, il suo grande progetto, è di trasformare l’Ue in un’unione delle Nazioni, pronte a collaborare, ma anche ad abbandonare qualsiasi progetto d’integrazione. Poco importa poi se, sul piano internazionale, non si potrà gareggiare con la Cina, la Russia e altri futuri colossi. La Nazione è l’obiettivo centrale che va incoraggiato e difeso. I Governi nazionali devono poter decidere di tutto. Siamo, quindi, di fronte a due concezioni ben diverse. Quella della destra radicale che vuole un’unione delle Nazioni e quella dei partiti tradizionali che vuole mantenere e approfondire il progetto d’integrazione europea. L’esito delle elezioni dirà quale sarà la concezione dominante e come si delineerà il futuro dell’Europa.

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