Google come il vaso di Pandora

Il 23 aprile è la giornata mondiale del libro e dei diritti d’autore. Ho incontrato Joël Dicker, Henri-Frédéric Amiel, William Shakespeare, la Treccani e alla fine anche Google. Quella di Dicker è la quarta visita. Nelle precedenti ha raccontato la saga dei Quelebet. Ora, da quel che dicono annunci e interviste, nel suo nuovo lavoro (un po’ meno… voluminoso, ma pur sempre oltre le 400 pagine) cambia «location» ma non registro. Guardando la copertina del suo Un animale selvaggio mi chiedo: quanti altri scrittori la città di Ginevra ha avuto prima di questo fenomeno della letteratura francese? Dubito fortemente che nei prossimi giorni i media ricorderanno l’anniversario (11 maggio 1881) della morte di Henri-Frédéric Amiel, il primo scrittore che mi si presenta (grazie a Google) come conterraneo di Dicker. Non avevo mai letto niente di lui, nemmeno indirettamente. Anzi: prima di trovarlo come conterraneo dello scrittore svizzero del momento ne ignoravo l’esistenza. Ho però subito intuito di poter condividere la scoperta con i lettori grazie a una moltitudine di elementi e spunti che sarebbe riduttivo definire solo interessanti.

Il nome nuovo e la mia ignoranza mi hanno infatti costretto a tornare da Google per un collegamento con l’enciclopedia online della Treccani dove (a firma Diego Valeri) ho così potuto fare conoscenza con l’autore «d’uno dei libri che meglio documentano il travaglio spirituale e lo scompiglio morale delle generazioni venute a maturità dopo il primo periodo romantico, con la rivoluzione del 1848». Alla faccia di Marx e compagni mi sono detto, soprattutto dopo aver appreso che Amiel è nel dimenticatoio dalla metà del secolo scorso e ancora oggi ha l’etichetta di pensatore di destra, più che altro per ciò che gli dettava la sua stretta osservanza calvinista. Docente universitario, autore solo di alcuni libretti di poesie e di qualche saggio letterario, Amiel scrittore è ricordato oggi solo per un diario lasciato a una cara amica come «droits de veuve», poco prima di morire: 174 quaderni con oltre 17 mila pagine zeppe di aforismi e riflessioni, «uno specchio in cui l’autore si osserva, si scruta, s’interroga con insaziabile curiosità, e spesso con ansia morbosa e con insistenza maniaca» spiega Diego Valeri sulla Treccani.

La singolare opera di Amiel oggi circola come Journal intime, diario pubblicato postumo e con saltuarie scelte editoriali. Ne propongo un bombastico frammento, a testimonianza di ciò che il pensatore ginevrino prevedeva oltre 150 anni fa e della sua forza nel presagire il futuro: «Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà, e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto dell’Uguaglianza, che dispensa l’ignorante di istruirsi, l’imbecille di giudicarsi, il bambino di essere uomo e il delinquente di correggersi. Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conoscenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga».

Non ho spazio, e men che meno competenza, per mettere a confronto l’Amiel dell’Ottocento con il ginevrino «bestseller» di questi anni. Inoltre incombe l’anniversario di Shakespeare. L’omaggio lo ricavo non da un libro ma dai social: su Twitter/X viene ricordato da Judi Dench (la novantenne «madre» di James Bond), nota agli inglesi anche come «“juke-box” di Shakespeare» per la sua maestria nel recitare opere del Bardo. Così il mio 23 aprile si chiude con il Sonetto 29: «Quando in disgrazia con la fortuna ed agli occhi degli uomini, tutto solo nella mia condizione di emarginato, ed invoco le sorde orecchie del cielo con i miei inutili lamenti…». Ancora poche righe per dire quanto facile sia oggi incontrare e «sentire» autori scomparsi da secoli, Shakespeare, Amiel, l’enciclopedia Treccani… Bastano poche carezze su un display e il vaso di Pandora/Google diventa un corrimano per la mente. E pensare che chi governa lo cerca, e pensa di usarlo, solo per ricavarne nuove tasse.

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