Prime impressioni, guardando fuori dal finestrino della posta che corre nella campagna argoviese: una campagna vera, senza tante casette spesso tutte atroci e il sapore del perdersi ritrovato di colpo. Mi lascio andare vagando con lo sguardo tra boschi, prati, campi. Anche il mio inconscio si mette in moto, facendo ordine tra ricordi sepolti e liberando l’affettività per il mondo, nonostante tutto. La percezione è di un grande verde ringiovanente, contrappuntismo gioviale dei campi di colza a parte. Colgo così, a fine aprile all’ora di pranzo, il verdino delle foglie a cuore che compongono la maestosa chioma del tiglio di Linn (581 m). Celebre tiglio nostrano (Tilia Platyphyllos) di età stimata tra i cinquecento e gli ottocento anni che fa la guardia a un paesino di centoventinove anime il cui toponimo ne contiene un riflesso (Linde è il tiglio in tedesco). Avvicinandomi, impressiona il tronco nodoso con una circonferenza di undici metri: ci vorrebbe una classe intera di bambini per abbracciarlo tutto.
Nel folclore locale, una filastrocca-indovinello profetizza che quando l’ombra del tiglio non cadrà più sul castello di Habsburg, il mondo finirà. Questo castello che ha dato il nome alla dinastia degli Asburgo, da qui dista diversi chilometri in linea d’aria ed è oltre l’Aar, impossibile perciò che l’ombra del tiglio sia mai caduta sopra le sue mura. Il significato credo sia tra le righe: è più importante il tiglio del castello. Le sorti del mondo sono più legate a questo monumentale tiglio che non alla dinastia asburgica. Del resto, la caduta degli Asburgo è nota mentre il tiglio ultracentenario è ancora qui, vivo e vegeto. Eppure, tra le pagine di Schweizersagen aus dem Aargau (1856) di Ernst Ludwig Rochholz, professore bavarese di letteratura tedesca espulso per motivi politici e rifugiatosi da queste parti a insegnare alla scuola cantonale di Aarau, spunta una variante a intorbidare le acque e infittire il mistero dell’indovinello già ombroso di suo. La fine del mondo sarebbe quando l’ombra cadrà sul castello di Habsburg. Un altro professore della scuola cantonale di Aarau, il professor di matematica Matter, con la sua classe, si è messo, nel 1925, tra angolo di inclinazione e calcoli trigonometrici, a studiare il tutto e trova due giorni all’anno in cui l’ombra potrebbe cadere sul castello: il diciassette aprile e il ventisei agosto. Trascurando agosto, Karl Matter, in un articolo apparso nel 1945 sull’«Aargauer Tagblatt», ai suoi calcoli di vent’anni prima, fornisce un’interpretazione storica. Il diciotto aprile del 1415, il giorno dopo l’ombra caduta sul castello dunque, i bernesi incominciano a sovvertire il potere asburgico.
In realtà sono convinto della prima versione, più antica, dell’indovinello in dialetto argoviese in cui le sorti del mondo sono legate all’ombra del tiglio. Dove ora, su una delle cinque panchine, una coppia di pellegrini del tiglio, mangiano cracker e carote. Per il mio pranzo al sacco prediligo l’erba del prato – in compagnia di umili e intrepide pratoline intirizzite – in modo da poter abbracciare il meraviglioso tiglio: carpaccio di finocchi, arance, olive taggiasche, pepe nepalese. Nella mitologia slava del tiglio, secondo sempre un indovinello, è possibile giungere al centro del mondo tramite un tiglio. A Lubiana si racconta di un tiglio secolare, cavo all’interno: lì c’è il centro del mondo. Fine del mondo, centro del mondo, un grande tiglio a Nierstein, nell’Assia, secondo l’etnologo-folclorista Edwin Sidney Hartland, forniva bambini a tutta la regione. Anche il tiglio di Linn è tutto cavo, non è di certo fuori luogo l’idea materna di un grembo cosmico. Tra l’altro il primo tiglio è la ninfa Filira: spaventata per aver partorito un centauro, prega il padre Oceano di levarla di torno e lui la trasforma in tiglio. Simbolo di femminilità, fertilità, fiducia, lenisce le inquietudini attraverso i suoi fiori infusi, scaccia i demoni, esorcizza la morte.
Il tiglio di Linn in particolar modo, è un tiglio legato alla peste, piantato qui, pare, dopo l’ondata di peste del 1348. Questa possibile datazione la trovo anche riportata da Zora Del Buono in Vite di alberi straordinari (2015). Ora appoggio il pollice sulla parte, potata tempo fa, all’estremità di un suo ramo lunghissimo che ondeggia nel vento e infonde forza e coraggio.