La guerra fa paura, ma la pace di più

by Claudia

Dal 2006 ogni anno, alla vigilia del Giorno della memoria dei caduti, si svolge una cerimonia congiunta israelo-palestinese che mira a superare l’odio e riconoscere il dolore dell’altro. Un seme di speranza spesso incompreso

«In Israele, essere in lutto per un proprio caro fa parte della tradizione, qualcosa di veramente atroce, ma sacro al contempo. E non avrei mai pensato che un giorno sarei stato uno di loro». Rami Elhanan (Apeirogon, Colum McCann).

Ieri sera, alle 19, tutto Israele si è fermato al suono delle sirene che segna l’inizio della Giornata in ricordo dei caduti e delle vittime degli attentati. L’intenzione del legislatore, che ha indetto la commemorazione dei morti di guerra una settimana dopo quella delle vittime della Shoah e il giorno prima della Festa dell’Indipendenza, era evidente sin dall’inizio. All’indomani della fondazione dello Stato di Israele nel 1948, infatti, si lavorava per costruire una nuova identità nazionale che sostituisse l’immaginario diasporico dell’ebreo passivo e subordinato alla volontà mutevole delle Nazioni ospitanti, con l’israeliano sovrano all’interno dei confini del proprio Stato che egli è in grado di difendere anche con l’utilizzo della forza. Il messaggio era chiaro: la drammatica disfatta subita in diaspora, e culminata nello sterminio di sei milioni di ebrei durante la Shoah, non si sarebbe mai più ripetuta grazie alla nuova patria e al suo apparato di difesa, noto per essere tra i più potenti e sofisticati del mondo.

Con il passare degli anni, il moltiplicarsi delle guerre e degli attentati terroristici, dovuti anche alle politiche degli stessi Governi israeliani, non si è fatto altro che alimentare la narrativa dell’eroe la quale celebra acriticamente le vittime come vacche sacre della società. Questo spiega anche come, dopo sette mesi, la guerra in Medio Oriente riscuota ancora consenso presso molta parte della popolazione civile ebraica. Morti, feriti, migliaia di civili sfollati, ostaggi, la riprovazione internazionale, la crisi economica e il degrado della salute mentale, niente sembra sufficiente per invertire seriamente la rotta perché, benché la guerra faccia paura, per qualche motivo all’inconscio israeliano la pace deve apparire ancora più spaventosa.

In attesa che i tempi siano maturi per l’intera società, vi sono tuttavia singoli e associazioni che, avendo compreso che la pace è davvero l’unica soluzione percorribile per garantire la sicurezza di entrambi i popoli nel lungo periodo, lavorano incessantemente per spianarle il terreno. Per alcuni di loro, purtroppo, il «risveglio» è avvenuto in modo drammatico, come nel caso dei membri del Parents circle – family forum, un’organizzazione congiunta israelo-palestinese che dal 1995 raccoglie oltre 600 famiglie che hanno perso un familiare a causa del conflitto in corso. Il primo incontro tra palestinesi di Gaza e famiglie israeliane in lutto ha avuto luogo nel 1998 e da allora l’associazione si prodiga per influenzare l’opinione pubblica e i decisori politici allo scopo di prevenire il lutto e promuovere dialogo, tolleranza e riconciliazione.

Dal 2006 uno dei loro eventi di maggiore impatto è proprio la cerimonia congiunta israelo-palestinese che si svolge ogni anno alla vigilia del Giorno della memoria dei caduti. La scelta di questa data mira a trasmettere a entrambe le parti il messaggio che la guerra non è un destino predeterminato, bensì solo una scelta umana, invitandole a riconoscere il dolore dell’altro per coltivare i semi della speranza. Promossa insieme al movimento Combatants for Peace e a intellettuali di spicco, la cerimonia oggi attira migliaia di persone ma, proprio tale visibilità mediatica l’ha resa bersaglio di manifestazioni e tentativi da parte di politici e movimenti della destra fanatica di annullare l’evento o disturbarlo.

Del Forum fanno parte anche l’israeliano Rami Elhanan e il palestinese Bassan Aramin, le cui tragedie personali sono state narrate con estrema sensibilità dallo scrittore Colum McCann nel suo libro Apeirogon (Feltrinelli 2021). Dopo aver perso le loro rispettive figlie, Smadar di 13 anni, vittima di un attentato suicida avvenuto nel 1997 nel centro di Gerusalemme, e Abir di 10, uccisa nel 2007 dal proiettile di gomma sparato da una guardia di frontiera attraverso la feritoria di una jeep, i due uomini hanno scelto di dare un senso alla soffrenza girando il mondo insieme per raccontare incessantemente la loro storia: «Sono Rami Elhanan, il padre di Smadar», «Sono Bassam Aramim, il padre di Abir».

Bassam viene accusato di normalizzazione, Rami di tradimento, entrambi di sfruttare i loro lutti privati, ma la verità è che sono loro i veri eroi che tentano di usare il comune dolore come arma per la pace, combattendo la violenza dell’occupazione che rende il nemico invisibile o demoniaco. Questi padri straziati vengono accolti da anni in tutto il mondo e lo scorso marzo sono stati ricevuti con profonda empatia anche dal Papa. Solo in Israele la loro partnership è ancora un tabù, come dimostra la lenta e osteggiata pubblicazione del libro di McCann che ha faticato a trovare una casa editrice per la traduzione ebraica che, anche dopo la recente pubblicazione, ha incontrato non poca ostilità da parte delle autorità che hanno cercato di annullarne le presentazioni.

Nel frattempo nei mesi scorsi la moglie di Rami, Nurit Peled, filologa e ricercatrice, si è dimessa dalla docenza a Gerusalemme dopo aver subito persecuzioni politiche a causa di un post da lei pubblicato su Facebook il 7 ottobre. Sembra un paradosso che una madre che ha pagato il prezzo di perdere una figlia in un attentato terroristico venga accusata di tradimento dal proprio Paese solo perché cerca di comprendere le ragioni della controparte. Eppure non c’è altra via per chi ha aperto gli occhi, e l’unica è sperare che prima o poi anche gli studenti israeliani delle università sceglieranno di onorare i caduti manifestando per la pace, invece di contribuire con il silenzio a rimpinguare le fila dei morti a venire. Sempre a causa del clima repressivo che si respira dal 7 ottobre, per motivi di sicurezza ieri sera la cerimonia congiunta del Family Forum si è tenuta via internet ma, proprio per questo, ha potuto essere seguita in tutto il mondo. La pace è ancora impopolare, ma saprà farsi strada.

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