Ritratti di due novantenni d’eccezione

by Claudia

Giorgio Armani, milanese di adozione, e Carlo De Benedetti, con la residenza in Svizzera, hanno saputo innovare il loro settore e stupire oltre i confini nazionali

Si avvicinano ai novant’anni due italiani che hanno riempito lo stile e la finanza dell’ultimo mezzo secolo: Giorgio Armani (11 luglio, segno zodiacale cancro), Carlo De Benedetti (14 novembre, segno zodiacale scorpione). Il primo nato a Piacenza e affermatosi a Milano, di cui è diventato il testimonial più prestigioso. Il secondo nato a Torino, autore di felici scorribande affaristiche a Milano e a Roma, con residenza in Svizzera per poter pagare più tasse, così ha recentemente affermato in tv. Armani è un figlio del popolo, medico mancato, benedetto dal proprio talento, di cui all’inizio non si fidava granché al punto di aver atteso i quarant’anni per mettere il proprio nome in ditta. De Benedetti ha avuto un padre ebreo, una madre cattolica, un breve esilio in Svizzera per sfuggire ai nazifascisti, la piccola azienda di tubi metallici del genitore con cui cominciare mettendo nel cassetto la laurea in ingegneria elettronica. Da qui la definizione l’Ingegnere.

Armani è stato vetrinista alla Rinascente, in seguito ha lavorato con Nino Cerruti e lanciato nel ’75 la prima collezione. Pubblico folgorato dalla giacca destrutturata, destinata a rivoluzionare il design: eliminati i supporti interni (imbottiture e controfodere), spostati i bottoni, modificate le proporzioni tradizionali. Le giacche diventano un emblema dell’eleganza italiana. Le donne corrono a comprare i tailleur Armani, che ne scandiscono la scalata nell’olimpo lavorativo.

Trasformata un’oscura società immobiliare, la Gilardini, in una holding di successo, De Benedetti a poco più di quarant’anni viene chiamato da Gianni Agnelli per risollevare la Fiat, di cui diviene azionista. Malgrado un consolidato rapporto con Umberto Agnelli, del quale è stato compagno di classe, dura poco. Esce dopo quaranta giorni con un cospicuo guadagno e una malcelata insofferenza nei confronti di Agnelli, il primo di una lunga lista che andrà da Berlusconi a Scalfari, dal banchiere Calvi a John Elkan, l’erede dell’Avvocato, fino ai propri figli accusati in tempi recenti d’incapacità e ingratitudine.

In pochi anni Armani attira l’attenzione di Hollywood: nel 1980 disegna i costumi di Richard Gere protagonista di American gigolò. In seguito, una cascata di grandi film muovendosi con assoluto agio tra passato, presente e futuro: Phenomena, Gli intoccabili, Cadillac Man, Ransom. Stabilisce con attori e attrici un rapporto personale: realizza gli abiti di Christian Bale ne Il cavaliere oscuro e Il cavaliere oscuro, il ritorno. Lo stesso avviene con Michael Fassbender e Penelope Cruz ne Il procuratore; con Di Caprio in The Wolf of Wall Street; con Jessica Chastain in 198: indagine a New York. La stessa Cruz, Nicole Kidman, Katie Holmes gli chiedono di disegnare il vestito per il matrimonio. Scorsese lo sceglie come produttore dell’apprezzatissimo documentario sul cinema nostrano, Il mio viaggio in Italia.

De Benedetti ha la rara abilità di trasformare pure le frenate professionali in moneta sonante. Com’è accaduto con la Fiat, accade con il Banco Ambrosiano – dal quale si sgancia avanti che emergano gli enormi illeciti fino all’assassinio di Calvi – con la Buitoni, con la holding alimentare Sme, con la Societé Generale de Belgique, con Sorgenia, con la Mondadori. Ogni volta contro di lui si muove un fronte compatto e robusto d’interessi contrari, nei quali compaiono il partito socialista e il suo segretario Craxi. Vengono spesso visti all’opera i proconsoli di Agnelli, di sicuro nasce una contrapposizione totale con Berlusconi. Oltre al destino diverso in Tangentopoli, Berlusconi travolto, De Benedetti arrestato e liberato nel corso della stessa giornata, c’è in ballo la proprietà della Mondadori. Di essa De Benedetti riesce stentatamente a tenere «L’Espresso» e «la Repubblica» con il contorno dei quotidiani locali. Lo vive come uno scippo e ha ragione: la sentenza, che l’ha obbligato a cedere il gruppo editoriale, è stata comprata dalla Fininvest. Lo sanciscono l’inchiesta della procura di Milano e le sentenze del tribunale che quantificano in oltre mezzo miliardo di euro il danno subito dall’Ingegnere. Lo scontro ha anche profondi motivi ideologici: con la discesa in campo Berlusconi è diventato il campione del centro destra, De Benedetti, massone in sonno, ed ex repubblicano, assurge a campione del fronte progressista, benché rifiuti un impegno diretto in politica.

L’anno scorso Armani, 2203 punti vendita in 46 Paesi, è stato classificato il terzo più ricco d’Italia con un patrimonio di oltre 11 miliardi. Si occupa ancora di sfilate e progetti, occhiali e profumi, e rimane ben saldo al comando della conglomerata, intento a determinarne il futuro quando non ci sarà più. Si spende in iniziative benefiche e di assistenza, sostiene i designer emergenti, quasi mai manca una partita casalinga dell’Armani, l’amata squadra di basket. D’altronde il rapporto con lo sport si è rivelato molto stretto a ogni livello: ha disegnato le divise del Piacenza, del Chelsea, della nazionale inglese di calcio, della rappresentativa azzurra alle Olimpiadi di Londra, della quale è stato sponsor in diverse edizioni dei Giochi.

Dopo le felici intraprese di Cir, delle case di cura, dell’Olivetti trasformata in Omnitel e oggi Vodafone, una straordinaria intuizione, di cui fu costretto a privarsi, De Benedetti ha voluto quale ultimo giocattolo un quotidiano corsaro, «Domani». In polemica con i figli, ai quali l’aveva donata, ha persino provato a ricomprarsi «la Repubblica». Respinto, ha vissuto come uno sgarbo la cessione alla Gedi, l’editoriale degli eredi di Agnelli. La fondazione di «Domani» ha rappresentato la sua risposta e il modo migliore di proseguire nell’incrociare le lame con quanti non gli stanno simpatici. Ecco tratteggiate due esistenze creative.

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