Le recenti elezioni amministrative britanniche hanno dato un segnale chiaro e il premier Rishi Sunak deve correre ai ripari
Disfatta Tory, sorpasso Labour, avanzata Lib-Dem e la riconferma del laburista Sadiq Khan per uno storico terzo mandato come sindaco di Londra. È l’esito in pillole delle ultime elezioni amministrative in Inghilterra che hanno visto il rinnovo di 107 Consigli comunali e l’elezione di 10 sindaci, oltre a quello della capitale britannica. Anche le suppletive tenutesi contestualmente a Blackpool South dopo le dimissioni del deputato conservatore Scott Benton hanno punito i Tories, restituendo ai laburisti il seggio perduto nel 2019, con un’emorragia del 26% di voti da un partito all’altro.
È un duro colpo per il premier Rishi Sunak, che non più tardi del prossimo 17 dicembre dovrà indire le elezioni politiche e tentare di recuperare consensi in un lasso di tempo molto breve. Una battaglia persa. Una lotta contro il tempo per contrastare un esito ormai annunciato: la fine di 14 anni di regno conservatore. Con la perdita di quasi della metà dei seggi, i conservatori hanno registrato infatti la più cocente sconfitta elettorale degli ultimi 28 anni. Un crollo di popolarità simile non si vedeva dagli anni Novanta infatti, quando la debolezza del partito non a caso preparò il terreno all’ascesa stellare di Tony Blair.
Anche se le amministrative non sono una proiezione infallibile di quanto accadrà sul piano nazionale, una cosa è certa: dopo David Cameron, Theresa May, Boris Johnson, Liz Truss e Rishi Sunak, il prossimo inquilino di Downing Street cambierà colore. Non stupisce pertanto che Keir Starmer, leader dell’opposizione e fautore della rimonta Labour, faccia pressione per lo scioglimento del Parlamento e un ritorno alle urne. «A prescindere dal partito politico di appartenenza, è imperdonabile per chi è stato al Governo lasciare il proprio Paese in condizioni peggiori di come lo ha trovato», ha scritto Starmer sul domenicale «The Observer», invitando Sunak «a mettere per una volta davanti l’interesse del Paese e indire le elezioni».
L’organigramma del potere locale inglese esce ridisegnato dalle amministrative, con i laburisti al primo posto che portano a casa 1158 consiglieri comunali, guadagnando così 186 seggi; i Lib-Dem che per la prima volta dal 1996 superano i conservatori, assestandosi al secondo posto con 522 consiglieri e 104 seggi in più rispetto alle elezioni precedenti e i conservatori in terza posizione con appena 515 consiglieri eletti e 474 seggi persi. Anche i partiti minori come i «green» o candidati indipendenti hanno guadagnato consensi, seppure in misura più marginale. I verdi, in particolare, hanno conquistato 74 seggi in più, di cui 10 nel solo consiglio comunale di Bristol dove per un soffio hanno sfiorato per la prima volta la maggioranza.
I Labour sono anche riusciti a strappare la roccaforte Tory di Westmidlands, che comprende Birmingham, la seconda città del Regno Unito per dimensioni. Richard Parker ha infatti scalzato, seppure con un distacco di soli 1508 voti, il popolare Andy Street, che governava il distretto amministrativo dal 2017. A contribuire alla caduta di Street – denominato da alcuni come il più potente dei conservatori fuori da Westminster – ha probabilmente contribuito anche alla candidatura nella sua circoscrizione di Reform UK, la formazione di stampo nazionalista di Nigel Farage e Richard Tice nata dalle spoglie del Brexit Party, che sta erodendo ai Tory i voti dell’ala destra del partito. Pur avendo ottenuto solo due seggi, Reform ha infatti sottratto suffragi ai Tory in tutti i collegi dove era presente.
Cosa succede adesso? Un cambio di leadership alla guida del partito di Governo ormai è fuori discussione poiché tardivo. Inoltre languono le alternative: Penny Mordaunt, attuale leader della Camera dei Comuni e favorita alla successione, non riscuote abbastanza fiducia. Persino Suella Braverman, controversa ex ministra dell’Interno e acerrima rivale di Sunak, al quale non ha perdonato di averla costretta alle dimissioni lo scorso anno, non pensa che il premier debba essere sostituito. «Non c’è là fuori un super-uomo o una super-donna che possa cambiare il corso delle cose in così poco tempo», ha dichiarato Braverman. «Rishi Sunak ci governa da 18 mesi e la situazione è una diretta conseguenza delle sue decisioni. Deve assumersene la responsabilità e risolverla», ha sottolineato l’ex ministra, invitando l’inquilino di Downing Street a spostare più a destra il baricentro del partito, ponendo un tetto ai migranti e ritirando l’adesione del Regno Unito dalla Convenzione di Ginevra sui diritti umani.
Sunak si trova ora ad un bivio: attrarre le simpatie dell’elettorato più destrorso a rischio di confluire o già confluito in Reform UK; o riavvicinare i moderati, che a questa tornata elettorale hanno preferito votare Lib-Dem o addirittura Labour. Una decisione non facile, che in un verso o nell’altro provocherebbe sicuramente uno scisma interno al partito, nel quale abitano due anime. Per il momento dunque il primo ministro nicchia, agitando lo spettro alle prossime elezioni del cosiddetto «hung Parliament», ovvero di un Parlamento senza una chiara maggioranza di governo, stante l’attuale frammentazione del voto. Infatti, secondo le analisi di esperti come il politologo Michael Thrasher e il direttore della campagna Tory, Isaac Levido, i risultati delle ultime amministrative – se riprodotti su scala nazionale – mostrano un vantaggio Labour meno marcato di quanto era stato previsto.
Il partito di Starmer avrebbe ottenuto infatti a livello locale l’equivalente del 34% dei voti a fronte del 27% dei Tory, con uno scarto ben inferiore ai 20 punti percentuali sbandierati dai sondaggi. Un risultato analogo alle politiche obbligherebbe i laburisti a dare vita ad un Governo di coalizione, in mancanza di una maggioranza assoluta. E gli elettori di certo non vogliono vedere Keir Starmer «sospinto a Downing Street da SNP, liberal-democratici e verdi», ha dichiarato sibillino Sunak all’indomani della sconfitta, consapevole dell’antipatia dei sudditi per siffatti Governi.
È davvero così? Secondo John Curtis, autorevole professore di politica presso la Strathclyde University, non è detto. Alcuni elettori (circa uno su cinque) votano in maniera diversa alle amministrative rispetto alle politiche. Alle locali i candidati indipendenti inoltre riscuotono un discreto successo a differenza di quel che succede sul piano nazionale. Infine non bisogna dimenticare che la battaglia politica in Scozia dove i laburisti potrebbero insidiare il primato del Partito Nazionalista Scozzese (SNP) – al centro di controversie da un anno a questa parte prima con l’uscita di Nicola Sturgeon e più recentemente con quella di Humza Yusaf e l’elezione del nuovo premier John Swinney – potrebbe avere a Westminster rilevanti conseguenze elettorali.