Le procès du chien, film svizzero a Cannes

by Claudia

La Svizzera, oltre a essere l’invitato d’onore al Marché du film, ha presentato anche alcune opere interessanti nei vari concorsi. Se di Godard abbiamo detto sopra, nella seconda sezione per importanza, Un Certain Regard, l’attrice Laetitia Dosch ha mostrato la sua prima opera da regista: Le procès du chien. Un film nel quale si ride, anche di gusto. E non è poco.

La pellicola – ispirata a dei fatti realmente accaduti – sottolinea un aspetto poco noto del sistema giudiziario elvetico: il fatto che per legge un cane sia paragonato a una cosa e non a un essere umano. Girato in Romandia, soprattutto a Losanna e dintorni, il debutto dietro la macchina da presa di Dosch, segue da vicino le gesta – anche un po’ scapestrate e disordinate – di un’avvocatessa (interpretata dalla stessa regista) dedita alle cause perse. Il nuovo incarico che assume con impegno è la difesa di un cane (Cosmos) che ha morso sul viso una donna sfigurandola e per questa ragione è a rischio eutanasia.

Buona la scelta dei ruoli secondari, indispensabili per il funzionamento della commedia: da Jean-Pascal Zadi, un veterinario comportamentalista che cerca di spiegare alla giuria le ragioni dell’aggressione a Tom Fizselson, nel ruolo del giovane Joachim, il vicino di casa maltrattato dai genitori e che la protagonista cerca di aiutare, a conferma della sua sensibilità verso i più deboli e indifesi. Ma è l’estroso padrone del cane (Dariuch, uno scoppiettante François Damiens) a prendersi sovente la scena. Così come è forte il ruolo dell’avvocatessa della difesa (Anna Dorval bene nella parte), una caricatura di certi politici odierni; alla Donald Trump per capirci, che spesso diventano ridicoli nelle loro espressioni e battaglie sopra le righe.

È un film dove si sente la sincerità della giovane regista: si avverte sin dall’inizio che crede in quello che ci dice. Ma si percepisce anche la grande preparazione della sceneggiatura con dialoghi convincenti e la giusta alternanza tra battute e riflessioni più serie. È un aspetto, quest’ultimo, che spesso e volentieri il cinema di fiction svizzero tende a sottovalutare. Eppure, come dimostra questo film, se un’opera è ben scritta arriva anche a Cannes; malgrado sia un debutto e su un tema particolare e curioso.