Scenario, il film testamento di Jean-Luc Godard

Sta nascendo un progetto ambizioso, ma anche importante e necessario a Rolle, nel canton Vaud. Si sta costituendo una Fondazione che avrà il compito di indentificare, riunire conservare e promuovere l’insieme dell’opera di Jean-Luc Godard. Ce lo hanno confermato due dei promotori e più stretti collaboratori, Fabrice Aragno e Mitra Farahani, che abbiamo incontrato a Cannes, dove hanno presentato l’ultima breve opera del famoso regista (morto nel 2022), uscita postuma.

Di che cosa si tratta? Che cosavolete fare in concreto?
È un’idea alla quale teniamo molto e vogliamo concretizzarla nei prossimi anni, partendo dall’associazione che abbiamo costituito. Ci siamo dati un obiettivo: il 2030, perché è il centenario della nascita di Godard, sarebbe bellissimo aprire un nuovo centro a lui dedicato per quella data. In sostanza, vogliamo continuare il suo gesto, la sua opera, per sottolineare che anche dopo la sua morte Jean-Luc non morirà mai. Del resto, ancora oggi è un regista sempre molto conosciuto nel mondo intero e non solo dalle nostre generazioni, ma anche dai giovani che amano il cinema. Un amore sconfinato che abbiamo avuto modo di notare di recente anche in Giappone e in Grecia; sia per le opere più note e degli anni 60 e 70, sia per quelle recenti. Abbiamo quindi voglia di creare un luogo a lui dedicato che riunisca tutta la sua opera per ora sparsa nel mondo. Da quello che ha scritto, ai film che ha realizzato, ai vari altri progetti. Sarà un luogo di creazione per i giovani registi, ecco perché pensiamo ci debbano essere delle sale di proiezione, come anche delle sale montaggio e laboratori dedicati al cinema.

Dove intendete realizzarequesto centro?
Abbiamo individuato una vecchia fabbrica vicino al Lago, a Rolle, il paese dove ha vissuto gli ultimi decenni della sua vita. Siamo già partiti contattando il Comune, il Cantone e la Confederazione e il progetto ha suscitato un grande interesse; tutto ciò ci fa ben sperare. Stiamo anche cercando i finanziamenti necessari (sia pubblici, sia privati) e spero che si riuscirà nell’impresa perché Godard è un tesoro svizzero da salvaguardare e promuovere.

Passiamo al filmato presentatoa Cannes, Fabrice Aragno, quale è stata la sua genesi?
Nel 2018, gli furono fatte due proposte: la prima da parte di Saint-Laurent che è stata presentata l’anno scorso e l’altra da parte dell’Opera di Parigi che gli aveva chiesto di fare un film sul teatro e lui aveva accettato. Più precisamente, un film sul dietro le quinte di quel teatro particolare. E, al posto di scrivere la sceneggiatura su carta, per poi trasportarla sullo schermo, ha direttamente filmato la sceneggiatura. Infine, ha anche scritto un libricino d’opera. Tre progetti poi diventati Scénario, prodotti dalla casa di produzione Ecran Noir e da Arte. E su cui è stato fatto anche un documentario dallo stesso Godard: Exposé du film annonce du film «Scénario», nel quale si vede Jean-Luc che mi spiega come intende realizzare il film (nell’immagine una scena tratta da qui). Una sorta di backstage dal quale si capisce molto bene il suo approccio e il suo modo di lavorare: molto pragmatico e poco teorico.

E per lei Mitra Farahani che esperienza è stata?
Come produttrice ho avuto la fortuna di accompagnare questo immenso artista negli ultimi film e di osservare da vicino il processo creativo e soprattutto di comprendere dove andava il suo sguardo, che per me è stato l’aspetto più interessante. Per quanto riguarda questi due filmati posso aggiungere che mette in scena tre modi originali di lavorare sul film: raccontato appunto, filmato e messo in opera.

Fabrice Aragno, lei ha lavorato negli ultimi 20 anni con Godard. Come è arrivato a lui?
La nostra collaborazione è nata per caso all’inizio del Millennio. Tutti me l’avevano descritto come un mostro con cui era difficile lavorare. Mi ricordo che mi dicevano che bisognava aver letto tutto l’inimmaginabile per poter discutere con lui. Invece, quando l’ho incontrato, mi sono trovato davanti una persona umile con la quale non era necessario parlare molto, era completamente immerso nel fare. Con lui mi sono trovato subito bene perché, come me, guardava le cose nella loro essenza, nella pratica. Personalmente, prima di incontrarlo lavoravo in un teatro di marionette dove non c’era nessuna regola, e una totale libertà. Ed è la stessa libertà che ho ritrovato collaborando con lui.

Godard ha lavorato fino all’ultimo giorno. Ci racconta come sono stati quei momenti?
Sì, per lui il lavoro era vitale. Credo che il suo pensiero creativo non smettesse mai di evolvere e pensava continuamente a nuovi progetti. Personalmente penso che girare un film sia come preparare un bastone di zucchero filato, nel senso che appena ti viene un’idea subito si deve cristallizzare. Lui lavorava proprio così, gli venivano idee diverse che poi doveva mettere in pratica, passo dopo passo. E credo anche che negli anni questo suo atteggiamento non sia cambiato: quando, per esempio, vedo le interviste che faceva negli anni 60, lo riconosco e osservo lo stesso Godard con cui ho lavorato, anzi, probabilmente negli ultimi anni era anche più libero.

E come sono stati gli ultimimomenti della sua vita?
L’ultima immagine di questo film che lo ritrae seduto sul suo letto l’ho girata il giorno prima della sua morte. E prima di salutarlo per l’ultima volta, si è alzato, ci siamo abbracciati e in quel momento ho capito che aveva deposto le armi, il cinema.
 

Related posts

Nuova vita al cinema

Il restauro come atto di resistenza culturale

Le forme del cinema horror americano