Il momento di dire basta. Prima o poi, ineluttabile, arriva per tutti. E per Marco Tadé quel momento è arrivato qualche settimana fa. Ha detto basta con le gobbe, le Moguls, per chi mastica il gergo dello sci freestyle, al termine di una carriera agonistica che l’ha visto competere ai massimi livelli, Olimpiadi comprese, la ribalta più prestigiosa e ambita per qualsiasi atleta. Lui, il 28enne di Tenero, l’ha vissuta a Pechino, nel 2022 (dopo aver dovuto rinunciare in extremis a Sochi 2014 e Pyeongchang 2018).
In questa puntata di «Adrenalina» torniamo dunque ad aprire una finestra sul freestyle, e in particolare su quelle gobbe che già avevamo frequentato nel numero 10/2022 di «Azione», per celebrare la carriera di spessore di un atleta di casa nostra.
In principio è sempre una scintilla o una tradizione: «Lo sci è una sorta di… vizio di famiglia. Sono praticamente nato con gli sci ai piedi; non a caso mia madre afferma che ho iniziato prima a sciare che a camminare: non sarà ovviamente proprio così, ma non siamo nemmeno troppo distanti dalla realtà. Fin da piccolo ogni vacanza, ogni giorno libero e scampolo di tempo lo trascorrevamo su qualche pista», racconta Marco Tadé.
Quelle con le gobbe le ha imboccate quasi subito, «seguendo le orme, anzi le… scie di mio fratello, che si è avvicinato a questa disciplina qualche anno prima di contagiare anche me: l’emozione e la scarica di adrenalina che si provava e che provo tutt’ora nel domare quei percorsi “gibbosi” è davvero impagabile. Il fatto che mia nonna avesse una casa a Lurengo, a due passi da Airolo (che da anni ormai è il fulcro delle attività per tutti gli appassionati di freestyle del Ticino, come pure uno dei principali punti di riferimento per tutto il movimento svizzero) mi ha un po’ spianato la strada».
Spianato fino a un certo punto, visti i percorsi affrontati in una quindicina di anni di agonismo ai massimi livelli. «Quando io ho cominciato, il freestyle era già di casa ad Airolo. Le Olimpiadi di Torino, nel 2006, hanno dato un ulteriore slancio a tutto il movimento; ed è proprio in quegli anni che ho iniziato pure io in modo attivo a praticare questa disciplina. Pur essendo uno sport individuale – bene o male nello sci in generale, e nel freestyle in particolare – ci si trova sempre sulle piste in compagnia, vuoi per le gare, vuoi per gli allenamenti. E a lungo andare viene a crearsi una certa affinità di squadra. Ed è anche questo spirito di gruppo che mi ha dato lo stimolo giusto per andare avanti, per proseguire con costanza su questa via, allenandomi e partecipando alle varie competizioni. Di pari passo, gara dopo gara, anche i miei risultati crescevano, così ho deciso di insistere, di alzare di volta in volta la mia asticella personale».
Ma per ambire alla ribalta internazionale serve spesso fare quel «clic» in più. «Non ho mai pensato ai risultati, ma al piacere che mi dava lo sciare. E questa “spensieratezza” mi ha spinto sempre più in là: prima le gare regionali, poi quelle nazionali… Alla fine, senza quasi accorgermene, mi sono ritrovato in Coppa del mondo e alle Olimpiadi». Con qualche bella soddisfazione, aggiungiamo noi. Come il bronzo iridato dei Mondiali 2017 conquistato a Sierra Nevada, quello ai Mondiali juniores nel 2014 a Chiesa in Valmalenco, oppure ancora i tre podi in Coppa del mondo (a Deer Valley nel 2015, a Thaiwoo nel 2017 e a Ruka nel 2020). «Ognuno di questi ricordi è speciale e ha una storia tutta sua: se dovessi sceglierne uno in particolare, sarei in difficoltà…».
Meno difficile è però trovare ricordi che hanno a che fare con le storie legate a questi risultati: «Sì, ricordo in particolare la gara conclusiva della Coppa del mondo nel 2017, a Thaiwoo, in Cina, che precedeva pure i Mondiali. Eravamo reduci da un’estenuante tournée durata un abbondante mese e mezzo, fisicamente ero scarico e anche i risultati ne stavano risentendo. È con quei sentimenti che mi ero presentato al via in Cina, senza particolari ambizioni di classifica, ma con la voglia di lasciarmi alle spalle quel tour de force per ricaricare un po’ le batterie in vista dell’appuntamento iridato. Prima di scendere, avevo anche scambiato qualche battuta con i compagni, dicendo loro che appena arrivato al traguardo mi sarei infilato sul bus per rientrare a casa».
E invece… «Invece andò a finire che centrai un sensazionale secondo posto, così fui “costretto” (ben volentieri) a prolungare la mia presenza a bordo pista per la cerimonia di premiazione. Il podio ottenuto ai Mondiali, poi, è stata un’altra pagina emozionante del mio album dei ricordi personale: a bordo pista quella volta c’era un po’ tutto il mio parentado, e chiudere con una medaglia al collo è stato qualcosa di molto emozionante. Altrettanto emozionante, ad esempio, è stato anche il primo podio in Coppa del mondo, centrato a Deer Valley, sorta di “mecca” di questo sport».
Il capitolo gare chiuso, la vita però continua: «In questi anni l’adrenalina è stata il mio pane quotidiano. Del resto io sono sempre stato un fan delle attività adrenaliniche: quell’ansia e quello stress che sanno generare ti fanno sentire “vivo”. Non a caso, negli ultimi anni, complice anche una serie di infortuni che mi hanno condizionato sulle piste, mi sono cimentato con altre attività, come il parapendio e il volo a vela. E, ultimamente, anche con il volo in elicottero: nei miei piani futuri c’è infatti quello di conseguire il brevetto di pilota di elicotteri, che mi sarebbe utile professionalmente. Insomma, volare mi è sempre piaciuto, e ora che non lo posso più fare, almeno agonisticamente, sulle gobbe, ho deciso di… salire di quota».
Tuttavia, Marco Tadé non volterà le spalle allo sci: «Ho detto addio al mondo delle gare, ma questo non significa che non calcherò più le piste. Lo sci è e resterà una parte di me, ragion per cui resterò in qualche modo a contatto con il mondo del freestyle ticinese, perché mi ha dato tanto e ora voglio essere io a dare qualcosa a questo sport».