Da capro espiatorio a eroe il passo è breve

by Claudia

Esistono capri espiatori professionisti, come Benjamin Malaussène, partorito dalla fantasia e dalla penna dello scrittore francese Daniel Pennac. Sono però convinto che la stragrande maggioranza delle persone eviterebbe volentieri di calarsi nei panni di colui che paga pegno sempre e indiscriminatamente.

Fra costoro ci metto anche Patrick Fischer. Al CT della Nazionale svizzera di hockey su ghiaccio, sono bastate due settimane di pura follia agonistica per sfuggire al linciaggio mediatico e popolare. Sui social media un esercito di nemici era pronto a richiedere a viva voce la sua testa. I rossocrociati si erano avvicinati al Campionato del Mondo di Praga con una serie mortificante di sconfitte consecutive. Il coach sembrava in balia degli eventi, assolutamente incapace di uscire da questo vortice negativo. Per i campi d’allenamento e per i tornei di preparazione, Fischer aveva messo alla prova un numero impressionante di giocatori, persino Dario Wüthrich che faticava a trovare un posto da titolare nell’Ambrì-Piotta. Un po’ come Roberto Mancini con la nazionale azzurra di calcio. Ma alla fine il Mancio, l’Europeo, lo aveva vinto.

A «Fischi» è bastato respirare aria iridata. È stato sufficiente recuperare da oltre Oceano alcune star elvetiche estromesse dai play-off della National Hockey League per invertire violentemente la tendenza. Sette sfide nel girone, sei portate a buon fine. Vittoria solida nei quarti di finale contro la bestia nera Germania. Successo ai rigori in semifinale contro i canadesi, campioni del mondo uscenti. In finale, contro la Cechia che giocava davanti al suo pubblico, la Svizzera se l’è giocata fino all’ultima goccia di energia.

In due settimane Patrick Fischer si è spogliato dei panni di coniglietto perdente per vestire quelli di fine stratega, capace di condurre i rossocrociati vicinissimi al sogno. Come spesso accade, sempre sui social media, negli scorsi giorni c’era un viavai di vagoni di cenere con la quale i suoi detrattori si sono cosparsi il capo. Alcuni, i più spregiudicati e bugiardi avevano persino smentito loro stessi affermando: «Io l’avevo detto che sarebbe stato l’anno del riscatto».

Il CT non era una nullità a inizio Mondiale e non è diventato un fenomeno domenica 26 maggio. Certamente c’è del suo nel cammino della Svizzera. Conosce bene l’hockey, sia quello nazionale, sia quello internazionale, per averlo vissuto dall’interno, ma il suo pregio principale è stato quello di aver saputo donare una coesione solida e immediata al gruppo a mano a mano che i vari Josi, Hischier, Niederreiter, Siegenthaler, Kurashev, Schmid e Fiala rientravano dal Nordamerica per vestire la maglia. Ed è proprio l’amore per la maglia che ha scatenato lo spirito guerriero che ha sorretto la Svizzera nel suo cammino.

Sarebbe tuttavia riduttivo liquidare la faccenda attribuendo il merito ai nostri «Americani». Il risultato è figlio anche del capillare lavoro della Federazione e della Lega. Un’opera avviata parecchi decenni fa, con l’aumento progressivo del numero di partite in quello che viene considerato come uno dei migliori tornei dopo la NHL. Secondo l’assioma «più giochi, più sei sotto tensione, più impari».

Aggiungiamo anche l’incremento del numero di stranieri a disposizione dei club. Istintivamente siamo stati portati ad affermare che si trattava di una scelta che sottraeva posti ai giocatori nostrani. Ma in definitiva ha scatenato un tale spirito di emulazione che ha contribuito a innalzare il livello globale del nostro hockey.

Forse, il prossimo anno usciremo ai quarti di finale, come è accaduto sovente negli ultimi anni. Forse perderemo in finale come nel 2013, nel 2018 e come quest’anno. O magari ci ritroveremo tutti abbracciati per celebrare il primo titolo della nostra storia. Poco importa. La certezza è che noi, costantemente, facciamo parte dell’élite. Questo grazie anche ai prodotti di casa. Senza la classe di Türkhauf, Fora, Loeffel, Simion, Bertschy, senza il fuoco sacro del guerriero Scherwey e del veterano Ambühl, non saremmo qui a celebrare i fasti della Nazionale di Patrick Fischer.

Poi, non dimentichiamolo, a negare agli avversari l’ebbrezza del gol, c’era un formidabile ragazzone di origini bleniesi che ha compiuto autentici miracoli. Lunga vita a Leonardo Genoni.