Attiva per circa un secolo, la Miniera Costa di Sessa ha permesso di estrarre preziosi minerali, prima di essere abbandonata per oltre sessant’anni, e tornare in vita dal 2018 con visite nel cuore della montagna
Siamo sottoterra, nei cunicoli scavati per estrarre oro e altri minerali. La temperatura è costante, sempre attorno ai 12°C, mentre l’umidità è del 100%. Condizioni particolarmente apprezzabili nelle afose giornate estive, quando rifugiarsi in un ambiente del genere può essere una salvezza. Ma una visita alle miniere di Sessa è comunque sempre consigliata ed è possibile da metà marzo a fine ottobre, periodo d’apertura al pubblico.
L’attività, ormai abbandonata (vedi riquadro), rivive oggi in chiave culturale e turistica grazie alle visite accompagnate proposte dal 2018. Dopo i lavori di ripristino e di messa in sicurezza, è infatti possibile andare alla scoperta di circa 500 metri della vasta rete sotterranea. Si tratta di un tuffo nel passato, poiché lungo il percorso troviamo ancora, spesso arrugginiti, gli attrezzi utilizzati dai minatori fino all’abbandono della miniera, avvenuto circa settant’anni or sono.
La visita ha una durata di circa due ore (inclusa un’introduzione teorica svolta all’esterno) e segue le istruzioni impartite dalle guide, una ventina in totale, che conducono i visitatori adeguatamente equipaggiati, con casco e pila frontale forniti sul posto.
Visitare le miniere di Sessa è un’esperienza che è subito avventura e piace sia ai bambini sia agli adulti, i quali possono approfondire alcuni aspetti legati alla regione, alla geologia e in generale all’attività mineraria. La visita si trasforma sin dai primi passi in un’esperienza partecipativa, così voluta dall’Associazione Miniera d’oro Sessa, come racconta Mauro Poretti, membro di comitato e una delle guide: «Vogliamo far rivivere la miniera così com’era, trasmettendo emozioni e vicissitudini: per questo gli attrezzi sono stati lasciati e sistemati al loro posto, come venivano usati dai minatori». In effetti, lungo la galleria principale chiamata Leonilde, incrociamo martelli pneumatici, pale, punte di ferro, barattoli arrugginiti, pennelli, lampade, carrucole, argani, carriole e anche una ralla, ossia una piattaforma rotante che, collocata all’incrocio delle rotaie, permetteva di far virare i vagoni all’interno della miniera.
Ad accompagnare le visite sono per ora i soci o amici dell’associazione che, con entusiasmo, coinvolgono gli ospiti tramite domande semplici ma stuzzicanti, tipo «Come ha fatto l’oro ad arrivare qua?», «A cosa serviva questo attrezzo?», «Quando si sono formate le Alpi?». Oppure mostrando l’accensione delle lampade a carburo, in uso durante il periodo d’estrazione e che funzionano con l’acqua.
Il cammino procede inizialmente lungo i binari (quelli usati per trasportare il materiale), intrufolandosi nella montagna e dove si viene avvolti in un ambiente particolare, carico di silenzio e di odori inusuali. Debitamente curvi per non sbattere la testa sulla roccia o sui tubi pendenti (che portavano aria e acqua dall’interno all’esterno o viceversa), nella miniera s’incontrano diversi cunicoli, discenderie, pozzi e altri anfratti.
Quest’anno sono inoltre terminati i lavori d’ampliamento, rendendo accessibile un nuovo passaggio e allungando così la visita su due livelli, fino ai «meno sette metri». Per questo sono state necessarie, dopo i dovuti studi geologici, molte ore di lavoro, in gran parte svolte da volontari: i cunicoli sono stati puliti dai detriti accumulati, messi in sicurezza e attrezzati per «l’avventura», che è anche suggerita da Famigros, il club per famiglie della Migros.
Presto verrà aperto un ulteriore segmento, ma la miniera è molto più grande, comprendendo gallerie che si estendono per circa due chilometri e su cinque livelli. Rispetto alla quota dell’entrata, il punto più profondo è 54 metri più in basso, mentre quello più elevato è 30 metri più su, poco sopra una seconda entrata. Non mancano rumori e animazioni, ricreati per meglio comprendere la dura vita dei minatori, che qui, in un vasto labirinto sotterraneo, hanno lavorato assiduamente e in un ambiente ostile fin verso il 1952.