Lotta climatica, largo ai vecchi

Poco meno di un mese fa, la notizia del fermo di Greta Thunberg all’esterno dello stadio di Malmö durante la finale di Eurovision è passata quasi inosservata. Per noi svizzeri era un curioso corollario al trionfo di Nemo alla kermesse canora. Ma oggi mi chiedo se l’immagine di lei con la kefiah al collo non segni un passaggio simbolico di consegne nell’agenda delle proteste giovanili dalla causa del clima a quella della Palestina.

È solo una suggestione, ma non riesco a liberarmene. Greta ha il sacrosanto diritto di lottare per due cause diverse. Ma mi chiedo: se pure lei, leader della rivolta della generazione Z contro i misfatti degli adulti in materia climatica, glissa dalla battaglia sul surriscaldamento globale allo scempio del Medio Oriente, se anche lei «si distrae» dalla sua causa, come possiamo pensare che i giovani e a maggior ragione i meno giovani continuino a considerare l’emergenza climatica la sfida numero uno dell’umanità?

La domanda assume un particolare rilievo a pochi giorni dal voto europeo. Ricordate l’afflato ecologico della Commissione von der Leyen nel 2019? Le promesse erano gigantesche: ridurre le emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, conseguire la neutralità climatica entro il 2050, dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse del pianeta, piantare 30 miliardi di nuovi alberi nell’Ue entro il 2030. L’avevano definito il Green Deal. E chissà, forse, se nel 2020 non fossero partiti due anni di pandemia, usciti dai quali è arrivata l’invasione russa dell’Ucraina e poi, nell’autunno scorso, la guerra su Gaza, oggi l’esigenza di un mondo ecologicamente sostenibile sarebbe ancora in cima alle classifiche delle più vive preoccupazioni.

Non è così. L’Eurobarometro – l’insieme di sondaggi d’opinione pubblica della Commissione europea – del 26 maggio avverte che più di tre quarti degli europei (77%) vorrebbero una politica di sicurezza e di difesa comune tra i Paesi Ue, e sette cittadini su dieci (71%) concordano sulla necessità di rafforzare la sua capacità di produrre armi. Gli europei sognano poi un continente in grado di difendere gli interessi economici dell’Europa nell’economia globale (69%). Clima e ambiente? Sì, se ne parla: per il 30% degli intervistati restano un ambito prioritario d’azione. Ma a medio termine. Fine dell’emergenza.

Non è una derubricazione d’importanza, è una delegittimazione morale. Molte forze politiche di destra date per vincenti alle europee oggi denunciano l’«ecologia punitiva» del Green Deal, ovvero la presunta natura liberticida delle misure pensate per diminuire l’impatto sull’ambiente delle energie non rinnovabili (le autostrade a 110 km/h, i limiti ai viaggi aerei, la riduzione del consumo di carne, il divieto dei SUV, l’agricoltura intensiva…).

L’emergenza climatica, nel frattempo è tutt’altro che sparita: il 2023 è stato l’anno più torrido mai registrato su scala globale, con una differenza di 0,6°C rispetto alla media 1991-2020. Eppure, l’ecologia rischia di essere il capro espiatorio di tutte le crisi in corso.

E così, tornando alle suggestioni, trovo simbolico un altro invisibile passaggio di consegne. Quello tra Fridays for Future, il movimento creato cinque anni fa da un’allora quindicenne Greta Thunberg e Anziane per il clima, il gruppo di pensionate svizzere che ha strappato alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo una stupefacente sentenza di condanna al nostro Paese per violazione dei diritti umani nella sua politica climatica. Dai più giovani ai più vecchi, insomma, saltando una generazione fondamentale: quella degli adulti con potere decisionale che ci governeranno negli anni a venire.

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