Per un Massimo Bernardini che se ne va, un Piero Chiambretti che ritorna. Da una parte il volto storico di TVTalk che lascia, dopo aver condotto, con sorridente rigore e rara sobrietà, una delle migliori trasmissioni europee sul mondo della televisione; lo sostituirà, dalla stagione prossima, Mia Ceran, e questa scelta è una buona notizia. Dall’altra il ritorno sulla stessa rete, dopo 21 anni di assenza e 41 di carriera, di «Pierino» con le cinque serate (Rai3, martedì, prime time) di Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
Chiambretti temeva di tornare in RAI e di non trovarci nessuno: una preoccupazione legittima, per noi più che per lui, dopo una serie di partenze più o meno volontarie, permanenze mal sopportate (Report, Blob) e altre sempre meno sopportabili (su tutte, Vespa). Chiariamo: la RAI è stata da sempre lottizzata dal potere e dalla politica e lamentarsene proprio adesso, quando il nuovo potere non garba, è un po’ come fare le vergini in sala parto.
Il titolo, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, di affliggente banalità, autorizza qualche piccola inquietudine, che la visione delle prime quattro puntate purtroppo non riesce a scacciare. Il programma è una sorta di comedy show che vorrebbe esplorare l’universo femminile attraverso gli accadimenti del mondo, con il contrappunto di interventi di riflessione, musica e comicità. Diciamo subito che «Donne…» è sfilacciato (con buona dose di orgogliosa autocritica, Chiambretti lo definisce uno «sformat»), senza un vero tema se non quello dell’agitarsi fisico, l’incontinenza acustico-verbale e l’egoriferita messa-in-scena del conduttore. Ogni tanto sembra alludere a un secondo livello, magari colto, senza mai svelarlo; è una torta alla crema a tre strati, di quelle stucchevoli, che mira ad essere camp, o forse pop, ma fatica a uscire dal kitsch. Un programma dislessico, un patchwork linguistico e narrativo che, nei momenti migliori, dà un un po’ le vertigini. La compagnia di giro è composta da sei presenze in studio, personaggi un po’ felliniani che patiscono le consuete intemerate di Chiambretti, che urla con finto scandalo di fronte a qualche innocua loro affermazione, o a qualche riflessione lievemente più seria. Poi intervistati di livello (Sorvino, Minoli, Goggia, i «coniugi» Mentana, Mannoni, Mieli, tra gli altri), che subiscono qualche domanda di apparente irriverenza ma di sostanziale irrilevanza. E immagini di archivio, qualche autocelebrazione, spezzoni amarcord.
La sensazione è comunque che, a differenza di quanto sostiene Chiambretti, non venga celebrata la rete di Guglielmi (cioè quella che lo lanciò), ma che vengano riproposti stilemi e modalità che il conduttore aveva adottato negli anni di Mediaset (non so, Matrix Chiambretti, La repubblica delle donne, Supermarket Chiambretti Night, Grand Hotel Chiambretti). Quindi, la conduzione isterica, spesso urlata, la costante autoreferenzialità, sono parte di quella cifra che tanto si ama – e si odia – in Chiambretti; ed è anche comprensibile che in una RAI alla disperata ricerca di ascolti, di figure iconiche cui ancorare palinsesti in crisi, si recupera quello che si ritiene un valore noto, sicuro, rifuggendo dalle sperimentazioni; un tentativo con un filo di disperazione, in una tivù di Stato ancorata all’auditel e alla pubblicità, ormai assediata da una pluralità di agguerriti network privati (oltre a Mediaset, La7 e la galassia Warner/Discovery).
Inutile dire che questo programma – «da donne, per donne e sulle donne», dice lui – mette in scena un universo femminile un po’ stantìo, tanto più stereotipato quanto più esso vuole accamparsi come nuovo. C’è addirittura una vaga aspirazione giornalistica (gli interventi aziendalisti dei corrispondenti RAI da Parigi, Londra e New York), anche se nei registri dell’ironia; ma scomodare la categoria dell’infotainment sarebbe decisamente troppo. La tentazione di fare di Chiambretti il «nuovo» volto RAI è palpabile: è previsto a breve un programma, Fin che la barca va (il titolista di Chiambretti è purtroppo sempre in vacanza…), nel quale il Nostro navigherà sul biondo Tevere intervistando vip e gente comune, una specie di ritorno alle origini.
Insomma, in attesa dell’epifania di Giletti (anche lui, prevedibilmente, ospite), la RAI guarda al proprio futuro nello specchietto retrovisore, con tutti i rischi del caso.