Tra il ludico e il dilettevole: in un suo racconto David Lodge esplora la tentazione universale di rimanere a letto quando bisogna andare a lavorare
L’uomo che non voleva alzarsi è un racconto del romanziere inglese David Lodge, che descrive la situazione di un uomo abituato a svegliarsi alla mattina per recarsi al lavoro. Un giorno apparentemente come tanti, però, si rende conto di aver ormai prosciugato la sua voglia di vivere. Decide, quindi, che in fin dei conti non vale la pena di alzarsi, e continua a crogiolarsi nel suo letto per un tempo che sembra non finire mai: giorni, settimane, mesi, fino al momento in cui, ormai allo stremo, con un ultimo sforzo vorrebbe alzarsi. Ma è troppo tardi, si accorge che non ce la fa più.
L’uomo che non voleva alzarsi fu pubblicato nel 1998 assieme ad altri racconti, ma la sua circolazione fu tutto sommato limitata e, nel frattempo, Lodge continuò a pubblicare con regolarità romanzi di successo. Pertanto, il racconto finì per passare in secondo piano: senonché nel 2015 l’agente letterario di Lodge ricevette una email piuttosto insolita da parte di una certa Philippine Hamen, la quale scriveva più o meno così: «Sono una fervente lettrice di David Lodge e una designer di mobili, anche se in realtà questa mia vocazione è nata dopo aver letto il racconto L’uomo che non voleva alzarsi, che mi ha dato la visione di un mobile speciale, ibrido, che permettesse al narratore di rimanere virtualmente a letto, pur potendo lavorare sulla struttura che ho ideato, a metà tra una scrivania e un lettino».
L’idea di Philippine era nata dalla consapevolezza che «la tentazione di rimanere a letto quando dobbiamo andare a lavorare o a scuola è universale». Il protagonista del racconto, in fondo, non faceva altro che ribellarsi contro lo spirito del capitalismo moderno, manifestando il bisogno di riconquistare un ambiente sicuro, caldo, simile a un grembo materno. Il dispositivo immaginato, mettendo in crisi la separazione fra casa e lavoro, fra ozio e produttività, mirava quindi a creare un oggetto che, unendo la scrivania e il letto, rispondesse contemporaneamente ai bisogni della sfera lavorativa e di quella domestica. Nel concreto, l’originale forma del dispositivo era concepita per svolgere diversi compiti in tutta comodità. Un po’ come un lettino da massaggio, permetteva di adagiare il corpo in maniera simmetrica. All’altezza del volto era situata un’apposita apertura che consentiva di leggere, per esempio, un documento piazzato sulla superficie inferiore che fungeva da scrivania. Le braccia, libere da impedimenti, potevano penzolare ai lati del lettino, oppure essere impiegate per girare le pagine di un libro, o per scrivere a computer.
Dunque Philippine, «fervente lettrice» di Lodge, non solo aveva letto e apprezzato il racconto: ne era stata folgorata al punto da concepire un ponte, un passaggio, una zona di contatto, fra finzione e realtà, affinché l’una sconfinasse nell’altra. Aveva elaborato una risposta pratica, possibilmente risolutiva, alla condizione di letargia cronica del personaggio. Tale intuizione fu a tal punto epifanica da condurla, dopo una laurea in letteratura moderna alla Sorbona, a intraprendere degli studi per diventare designer di mobili. Al termine del suo programma di studi, infatti, Philippine realizzò un prototipo del dispositivo che fu poi esposto, riscuotendo un certo successo, al Salone del mobile di Milano.
Quando Lodge, in seguito, ricevette il messaggio di Philippine, contattò un suo amico gallerista di Birmingham, che diede vita a una nuova iniziativa: un nuovo modello di lettino-scrivania venne esposto in una galleria d’arte, in concomitanza con il festival di letteratura di Birmingham. Per l’occasione, il racconto di Lodge, all’origine del fortunato cortocircuito fra finzione e realtà, venne ristampato in una nuova edizione con alcuni racconti più recenti.
Questa storia, per quanto aneddotica, dimostra come libri o film possano ispirare soluzioni pratiche, a volte anche avveniristiche, certamente attuali: un dispositivo come quello realizzato dalla Hamen e ispirato da Lodge potrebbe, immaginiamo, intercettare l’interesse di coloro che si occupano di negoziare le nuove frontiere dell’homeworking. Ma nulla ci impedisce, d’altra parte, di indugiare sul versante dell’ozio, immaginando una simile innovazione al servizio di una creatività svincolata dagli obblighi lavorativi.
Dopotutto, come sostiene il sociologo Domenico De Masi, l’ozio non solo è una virtù, ma permette all’essere umano di esprimere al meglio il suo potenziale creativo: all’opposto del lavoro alienante e disumanizzante, è più consono ai ritmi e ai modi suggeriti da un’amaca: «Puoi startene sdraiato per ore – afferma il sociologo –, mentre la tua mente lavora vorticosamente. L’amaca è l’opposto della catena di montaggio. E, forse, è l’oggetto più bello e più funzionale che sia mai stato creato dagli esseri pensanti».
L’ozio concepito in questi termini coincide con una sorta di pienezza in cui l’essere umano si riconosce e si riscopre. Visto così, è certamente un’esperienza da coltivare, diffondere e proteggere. La speranza è che poi, come sempre, l’estate ci accolga più viva che mai, con le sue amache sospese nella luce accecante. E magari, con un buon libro fra le mani, ci lasceremo sorprendere da un’intuizione.