Un po’ come Taylor Swift, anche Marine Le Pen (nella foto) ha le «eras», le ere. Ogni volta che si presenta alle elezioni è una donna un po’ diversa, in continua evoluzione rispetto all’identità di partenza, quella della leale figlia di un padre che dell’estrema destra è stato il simbolo assoluto e demoniaco per la Francia. Mentre lascia che altri candidati le facciano il favore di scavalcarla a destra, conferendole nel contrasto un’aura se non moderata quantomeno ragionevole, Le Pen ha dimostrato di essere un fenomeno capace di non prendere polvere e di mostrarsi attuale anche davanti all’agguerrita concorrenza sovranista che le arriva da tutte le parti, pronta a rinunciare di volta in volta a un tono, a un tema, pur di avvicinarsi al suo obiettivo di portare all’Eliseo nel 2027 il suo brand di donna solida, intransigente e francesissima. In questo, la sua duttilità appare molto più temibile della tetragona ostinazione ideologica del padre, pluricondannato per negazionismo e altri reati, ormai novantacinquenne malato e sottoposto alla tutela giuridica delle figlie. Un tempo lo chiamavano «il menhir», ora il menhir è lei.
Mentre la Francia è scossa da una stagione di rivoluzione e libertà, nell’agosto del 1968, nasce Marion Anne Perrine Le Pen, terzogenita di Le Pen; uno che ha aggiunto Marie al suo primo nome per piacere alla Francia cattolica, e di Pierrette, una bella donna che a un certo punto scappa con il biografo del marito, racconta al mondo quanto retrive e antisemite siano le sue opinioni e si fa fotografare per ripicca su «Playboy», determinando una rottura quindicennale con le figlie tra cui Marine, che all’epoca aveva solo 14 anni e che commenterà così la faccenda su «Paris Match»: «Una madre è un giardino segreto, non una discarica pubblica». Oggi Pierrette si fa vedere sempre ai comizi della figlia dopo che anche i rapporti con l’ex marito, risposato, si sono fatti più distesi, tanto che anche lei per anni ha abitato anche dopo il divorzio nella grande tenuta di Montretout, nella reggia alle porte di Parigi ereditata da un magnate del cemento che, con il suo generosissimo lascito, ha permesso ai Le Pen di dedicarsi alla politica con tutta la serenità del caso. Altri finanziamenti, come quelli venuti da uno dei capi della prostituzione parigina, hanno avuto meno clamore nella narrazione di questa dinastia politica francese, fatta di un patriarca circondato da donne bionde e decise, come la figlia Yann, madre di Marion Maréchal che, dopo essere stata l’astro nascente del Front National, si è messa a militare nelle file del partito di Éric Zemmour (ma settimana scorsa è stata espulsa da quest’ultimo poiché ha incitato gli elettori a votare per la formazione di sua zia).
Anche nella storia di Marine Le Pen, come in quella di Giorgia Meloni, c’è il momento della distruzione della casa dell’infanzia: solo che, se nel caso della premier italiana è stata tutta colpa di un incendio, Le Pen è sopravvissuta per miracolo, insieme alle sue due sorelle, a una quantità ingente di esplosivo che ha sventrato il vecchio appartamento parigino in cui Jean-Marie viveva e lavorava prima di andare a Montretout. Uno choc che la donna ha usato spesso per lamentarsi dei doppi standard con cui le vittime di destra verrebbero trattate rispetto a quelle di sinistra. Avvocata, guida la creazione del servizio giuridico del Front National nel 1998, un anno dopo il suo primo matrimonio, e viene eletta a più riprese in Consiglio comunale. Sono anni di forte crescita per il partito, e alle presidenziali del 2002 «il menhir» finisce al ballottaggio con Jacques Chirac, prendendo più voti del socialista Lionel Jospin. A quel punto la sensazione è che niente sia impossibile, per la dinastia di Montretout.
La seconda era inizia nel 2004, quando Marine arriva a Strasburgo, dove il Front National ha preso quasi il 10% dei voti. Sono già due anni che va regolarmente in televisione, dove il suo eloquio polemico e battagliero è molto apprezzato e dove ha iniziato la sua opera di «sdiavolizzazione» del partito. Lì inizia a costruire per sé stessa un palcoscenico internazionale che la vedrà tra i grandi arcinemici dell’Unione europea ma che le permetterà di inserirsi in un dibattito più attuale rispetto alle istanze imbarazzanti e retrò portate avanti dal padre. Il dibattito nel referendum costituzione europea la vede in prima linea, e il suo libro autobiografico del 2006, Controcorrente, mostra delle ambizioni da leader, più che da figlia. Nel partito iniziano a lamentarsi del suo potere e i fedelissimi del padre non vedono di buon occhio il suo lavoro diplomatico nei confronti di varie comunità, compresa quella ebraica. Quando in un poster elettorale sceglie di mettere una giovane maghrebina delusa dai risultati del Governo su integrazione e laicità, avvia una rottura profonda: quello che ha in mente non è più il partito dei cattolici tradizionalisti, ma di chi accetta l’immigrazione purché non porti multiculturalismo.
Gli anni successivi la vedono alle prese con nuovi temi, anche quelli lontani dalla sensibilità reazionaria, ossia le difficoltà economiche e lo scontento della ex classe operaia. Si trasferisce nel Nord Pas de Calais e si reinventa donna vicina al popolo, migliorando di molto le sue performance alle urne e soprattutto impiantando una strategia di lungo corso che la porterà inevitabilmente alla terza era, quella del violento, necessario «parricidio». Nel 2015 Jean-Marie Le Pen viene cacciato dal partito, dopo aver ripreso le sue vecchie uscite antisemite, tra l’Olocausto come «dettaglio della storia» e la doppia nazionalità «come la bigamia». I due leader, padre e figlia, hanno litigato, fino a quando Marine non ha deciso di liberarsi di lui. E se qualcuno diceva che era un «suicidio» per il Front National, la verità è che l’uscita di scena del vecchio riservista che ha rappresentato per anni la Francia più retriva, colonialista e razzista, amico di tutti i collaboratori e gli ex gerarchi, con questa mossa ha preso la rincorsa ed è passato all’incasso. Lasciando che al centro del discorso rimanesse soprattutto, fortissima, una certa idea di Francia.
La quarta era è quella della nascita del Rassemblement National, nel 2018, nuovo nome del partito forte di una leader che nei sondaggi appare potentissima e che va adattando la sua idea di destra ai temi in grado di attirare più elettorato. C’è stato un momento in cui, prima della Brexit, un’estrema destra che non fosse anche estremamente euroscettica non aveva motivo di essere. Poi si è accorta che è un tema che spaventa l’elettorato, che lo allontana dal motivo identitario, che rimane il più forte. Per anni alle elezioni presidenziali Marine è stata una minaccia costante, aleggia nella politica francese come un disastro incombente, crescente, nel 2017 arriva al 21%, a un soffio dal 24% di Emmanuel Macron, il suo uso dei social media è scaltro, ma perde con il 34% contro il 66% al ballottaggio. Da lì nasce l’ultima era, quella ancora in corso, che la porta a una vittoria abbondante alle europee – più del 30% – con un leader di partito giovane e fotogenico (Jordan Bardella) e una Marianna cinquantacinquenne, regina delle correzioni di rotta, che ha un appuntamento elettorale tra poche settimane.