Il biopic su Gianna Nannini non entra nell’anima

by Claudia

Ottima l’interpretazione di Letizia Toni ma il biopic diretto da Cinzia TH Torrini non convince

Sei nell’anima è il biopic, molto atteso, che Netflix ha prodotto sui primi 30 anni di Gianna Nannini (nell’immagine la locandina del trailer). Diciamolo subito, non è un capolavoro (ma quale biopic lo è mai stato?) ed è il classico film Netflix che può essere visto una sera di primavera, senza avere aspettative troppo alte né pretese da film d’autore.

Infatti, la regista Cinzia TH Torrini – così come i cosceneggiatori Cosimo Calamini e Donatella Diamanti – è abituata più alle serie TV che al cinema.

Come si diceva, il film racconta i primi anni della vita della cantante di Siena, concentrandosi soprattutto sui suoi primi passi nella discografia italiana. Siamo negli anni 70 e la giovane decide di partire dalla Toscana per Milano, alla ricerca del successo. Scoperta dalla produttrice musicale Mara Maionchi e messa sotto contratto dalla Ricordi, l’artista fatica però, malgrado un innato talento, ad arrivare in vetta alle classifiche di vendita. Solo dopo aver toccato il fondo ed essere caduta in una profonda depressione trova la forza per rinascere, ritrovare la sua serenità interiore e soprattutto diventare quella che conosciamo oggi. Come ha detto lei in più di un’intervista la sua vita è iniziata nel 1983, quando finalmente ha trovato la sua vera strada.

Quali i punti forti di quest’opera? Sicuramente, il più evidente è la convincente interpretazione di Letizia Toni, la quale è riuscita in un lavoro di mimesi piuttosto impressionante. Perché si è trasformata letteralmente nell’icona del rock italiano assumendone il tono di voce, le movenze e le sembianze fino a cantare con la stessa forza i suoi primi successi. Interessante anche la fotografia di Marco Sgarzi, sempre piuttosto cupa, a sottolineare il buco nero nel quale finisce l’artista senese.

Dimenticabile, invece, la scrittura (troppo edulcorata, da serie tv di RaiUno), così come vengono appiattiti gli eccessi nella vita e sul palco della Nannini, il suo marchio di fabbrica e la sua forza. Ed è un controsenso perché è un film su un’icona del rock che di rock non ha quasi nulla. Appiattiti anche i confronti e i litigi con la famiglia (il padre in particolare), risolti frettolosamente e senza grande profondità psicologica.

Il film è perciò un’operazione riuscita a metà. Anzi, con il materiale a disposizione sia dal punto di vista artistico sia da quello umano, e malgrado il titolo, non è riuscito a entrar nell’anima. Peccato.