Metamorfosi del linguaggio e ricadute etiche

In molte situazioni, aspettare significa soprattutto sperare che il tempo d’attesa non sia troppo lungo. In quei momenti, intrappolati con il pensiero dentro lo scorrere dei minuti, l’attenzione rivolta all’orologio, non aspettiamo altro se non la fine di quel tempo sospeso: difficile che altri pensieri sopraggiungano e riescano a portarci altrove. A me è capitato nella sala d’attesa di uno studio medico, colpita da una scritta: è severamente sconsigliato l’utilizzo del cellulare.

All’improvviso mi sono trovata altrove con il pensiero, sorpresa e incuriosita dall’abbinamento dei termini «severamente» e «sconsigliato». L’esercizio del consigliare, o della sua negazione, è un gesto delicato, gentile, rispettoso, non invadente. Nel darsi reciprocamente consigli, c’è sempre un sottofondo di affetto, un desiderio di amorevole cura, un’attenzione a tenersi lontano da ogni possibile approccio autoritario. Il consiglio non obbliga, è un dono vissuto dentro un legame di reciprocità.

La severità invece comporta per definizione un atteggiamento perentorio e rigoroso con cui, più o meno in modo consapevole, si tende a orientare, e magari anche a controllare, l’agire dell’altro.

Come è possibile, allora, consigliare severamente? Il consiglio non prescrive nulla, la severità ne contiene invece perlomeno il desiderio. In questo messaggio rivolto ai pazienti riconosco allora un vero e proprio pasticcio etico, un tentativo di assimilare valori e atteggiamenti diversi, in qualche modo incompatibili.

Queste considerazioni mi hanno riportato alla mente un’altra scritta, ben visibile nelle stazioni ferroviarie, almeno fino a qualche anno fa: è severamente proibito attraversare i binari. Qui nessun pasticcio etico; qui il messaggio è forte, chiaro e univoco perché proibizione e severità si sposano bene e si rinforzano a vicenda.

Ma quando proibire diventa una parola sospetta, evocatrice di atteggiamenti ritenuti sconvenienti, quando diventa una parola politicamente scorretta, è facile che si ricorra a espressioni ibride e a messaggi ambivalenti e così, spesso senza nemmeno riuscire ad accorgercene, affidiamo il nostro agire a valori diversi, tra loro incompatibili.

Il curioso messaggio che campeggia in quella sala d’attesa è solo un esempio colto per caso, ma è comunque sintomo di una sempre più diffusa cosmesi del linguaggio, le cui radici e le cui motivazioni sono molteplici, variegate e complesse.

Le metamorfosi del linguaggio, la continua danza di parole abbellite, mi hanno riportato alla mente anche alcune considerazioni che ebbi a condividere con un amico cieco, infastidito dalla bella espressione di «non vedente»: un’espressione certamente più gentile, ma in realtà incapace di cogliere l’essenza del vedere, che è la stessa di avere un’idea. La bella espressione «non vedente», seppur in buona fede e con ottimi propositi, tradisce il significato profondo di vedere: il vedere come visione, come metafora della ricerca del senso, che ci accompagna ben al di là degli occhi che possono guardare.

Anche in contesti comunicativi molto diversi può succedere che nelle nostre parole vada persa l’essenza delle cose, ovvero ciò per cui una cosa è ciò che è. Mi viene in mente il caffè senza caffeina, il latte senza lattosio, il dolce senza zucchero, e potremmo continuare a lungo. Queste parole parlano di una realtà in cui è possibile continuare a bere il caffè senza rischiare la tachicardia, a bere il latte che piace di più all’intestino irritabile, e a mangiare gelati senza sfidare la glicemia. Seppure con questi buoni motivi, le parole emigrano però dalla sostanza delle cose alle loro manifestazioni più o meno surrogate.

Forse non ce ne rendiamo conto, ma tutto ciò ha a che fare in profondità con l’attenzione per la verità. Dobbiamo intenderci però: la parola verità parla di noi, riguarda innanzitutto il nostro essere veri, è il contatto con la nostra intimità, è la verità del nostro esserci. Come dire: comincia dentro di noi l’attenzione per la verità e in noi diventa bisogno di cogliere l’essenza delle cose. Si radica qui anche la verità della conoscenza, l’attenzione alla corrispondenza tra la realtà e ciò che diciamo di essa.

Non so quante persone, nell’attesa di essere chiamate per la visita, abbiano considerato questo messaggio. Eppure, forse anche da un messaggio che passa inosservato, in una qualsiasi sala d’aspetto, può iniziare il viaggio nelle post-verità.

Related posts

Notizie dall’interno dell’IA

Pensieri canicolari

Dark pattern