La pratica del «whistleblowing», che consiste nel segnalare – proteggendo l’identità dell’autore – violazioni di leggi o di regolamenti, casi di corruzione o di frode, oltre a situazioni di pericolo per la salute e la sicurezza pubblica, gode ancora, in Svizzera, di un certo credito, come dimostrano le cifre pubblicate dalla Scuola professionale dei Grigioni, riferite dalle agenzie lo scorso 12 gennaio.
Il numero delle segnalazioni trasmesse in un anno all’autorità federale di controllo può parere ingente: 232, la cernita che l’autorità svolge tra quelle ricevute ha per finire rilevato soltanto un caso di rilevanza penale. In Svizzera, solo le pubbliche amministrazioni sono oggetto di possibile «denuncia protetta», non le imprese private: questo per l’opposizione in apparenza irremovibile delle Camere federali. Ci penserebbe poi la stampa, protetta dalla Costituzione, a togliere definitivamente il coperchio da certe marmitte, quando raggiungono una certa consistenza: ma, ancora una volta, gli autori del servizio giornalistico possono incorrere nei rigori del Codice penale se la pubblicazione risulta lesiva di specifici interessi. Questi impicci hanno dato luogo in passato a cause penali, per cui molti organi d’informazione, per non rischiare di incorrere in sanzioni onerose, se ne tengono lontani. Ma il coraggio non è mancato, in passato, a privati cittadini, i quali, a conoscenza di storture gravi o di reati o di crimini, hanno deciso di attivarsi assicurando la rivelazione di casi gravi. I lettori di «Azione» li conoscono bene, questi eroi solitari della pubblica informazione, perché ne è stato scritto molto in passato: persone condannate al carcere duro (l’ex soldato Chelsea Manning), oppure costrette all’esilio (Edward Snowden) o che attendono di conoscere la loro sorte, detenuti in attesa di estradizione (Julian Assange). In quasi tutti questi casi si è potuto provare che, a muovere il loro interesse alla raccolta e rivelazione di notizie compromettenti per autorità pubbliche e interessi privati era il loro individuale senso della giustizia. Detto questo, la domanda rimane lecita: non esistono altri mezzi per la divulgazione di storture pubbliche o private, cui non seguano necessariamente penose conseguenze per chi vi si impegna?
Il punto di rottura è stato trovato con la fondazione, nel 1997, dell’International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ), con sede a Washington e che raggruppa più testate di giornali attivi in tutto il mondo (per la Svizzera vi aderisce Tamedia, l’editore del «Tages-Anzeiger» e della «SonntagsZeitung»). Non è per caso che il Consorzio sia basato negli Stati Uniti: lo protegge il Primo Emendamento della Costituzione americana («Il Congresso non farà leggi limitative della libertà di stampa»). Il soldato Manning poteva essere perseguito perché era un individuo isolato, un giornale o un’organizzazione di giornalisti in America non può esserlo. Importante è stato il processo, in aprile, per i «Panama Papers» rivelati dal Consorzio: trentadue accusati di evasione fiscale e riciclaggio, 11,5 milioni di documenti, spalmati su 40 anni, personalità compromesse, da Putin a Leo Messi. Il caso più grosso: in Svizzera fu quello della banca inglese-elvetica HSBC di Ginevra. Si ricorderà il processo svoltosi a Bellinzona a carico di un funzionario della banca che aveva dato avvio all’inchiesta giornalistica. Il «caso» più recente riguarda un Paese dell’Africa australe, lo Swaziland, e gli accusati sono addirittura il sovrano presidente della repubblica e i suoi alleati politici.
Il direttore del Consorzio, Garard Ryle, premio Pulitzer 2017, ne ha parlato in aprile in Ticino a un folto gruppo di iscritti al Corso di giornalismo nella Svizzera italiana e a varie decine di giornalisti attivi, per iniziativa della RTSI. La conclusione? Non è più tempo di eroi, con tutto il rispetto che dobbiamo a quegli autentici apripista. È tempo di unire le migliori forze giornalistiche per alzare il coperchio delle troppe pentole in cui, a livello mondiale e con penetrazione capillare anche nelle nostre democrazie, bolle quel tratto della finanza internazionale che ha molto da nascondere agli Stati di cui pure invoca la protezione contro le crescenti attuali minacce di guerra.