Il rompicapo degli eritrei da rimpatriare

by Claudia

Berna dovrebbe concludere un accordo di transito con un Paese terzo ma il regime di Asmara non ci sta

A Berna, i politici hanno perso la pazienza e hanno deciso di dare un segnale alla Segreteria di Stato della migrazione (SEM), tacciata di inattività e mancanza di volontà sulla questione eritrea. Lunedì scorso, il Parlamento ha incaricato il consigliere federale Beat Jans di trovare una soluzione per il rimpatrio dei richiedenti eritrei la cui domanda d’asilo è stata respinta. L’idea, lanciata dalla senatrice liberale radicale Petra Gössi, è di rinviarli dapprima in un Paese terzo, con cui la Svizzera ha concluso un accordo di transito, e poi di rimpatriarli nel loro Stato d’origine. La proposta non intende trasferire la procedura d’asilo all’estero, bensì inserire una tappa intermedia nel loro viaggio di ritorno. Dopo il Consiglio degli Stati, anche la Camera del popolo ha approvato con 120 voti a favore e 75 contrari la mozione .

La maggioranza, composta da parlamentari di UDC, PLR e Alleanza del Centro, è rimasta sorda all’invito del ministro di giustizia e polizia di bocciare la proposta: il regime di Asmara continuerà a negare il rimpatrio forzato di propri cittadini. Stando a Jans, questa decisione non cambierà, nemmeno passando da un altro Stato africano. Ricordiamo che il ritorno volontario è possibile; dal 2014, le persone che hanno scelto questa opzione sono poco più di un centinaio.

In Parlamento si è consapevoli che questa idea difficilmente riuscirà a sbloccare la situazione. La stessa Gössi ha ammesso che l’obiettivo è dissuadere i richiedenti l’asilo dal mettersi in viaggio verso l’Europa. La decisione va quindi intesa come un voto di sfiducia nei confronti della politica d’asilo della SEM, accusata di non impegnarsi sufficientemente per il rimpatrio degli eritrei. Ma Beat Jans ribatte che dal 2000 la Svizzera ha negoziato accordi in materia di migrazione, quindi anche di riammissione, con 66 Stati, tra cui 14 con Paesi africani.

Nel dibattito è stata citata l’intesa di una ventina di anni fa con il Senegal, un accordo che però non è mai entrato in vigore poiché il Paese africano lo ha rifiutato. E ora con quale Stato confinante con l’Eritrea dovremmo negoziare un accordo di transito? L’Etiopia, con cui è ai ferri corti, il Sudan in guerra civile, o Gibuti? O il Ruanda, che dista più di 2000 chilometri dal confine eritreo?

A far perdere la pazienza ai parlamentari non sono stati i quasi 300 eritrei respinti e in attesa di essere rimpatriati, né il numero di domande d’asilo, passato da poco meno di 10’000 nel 2015 a 426 nel 2022. È stata la diaspora eritrea in Svizzera, quella parte attiva politicamente, che conta circa 43’000 persone. Come in altri Paesi d’Europa, anche da noi si sono verificati scontri tra oppositori e sostenitori del regime eritreo. All’inizio di settembre a Opfikon (ZH) si sono affrontate centinaia di persone di nazionalità eritrea. Lo scontro ha provocato una dozzina di feriti. Un altro episodio simile si è verificato alla fine del 2023 a Grellingen (BL). Il peggio è stato evitato solo grazie a un ingente dispiegamento di forze di polizia.

Ci sono gruppi pro e contro il presidente Isaias Afewerki. Per alcuni è l’eroe che nel 1993 ha portato il Paese all’indipendenza; per altri uno spietato dittatore che da oltre trent’anni governa con il pugno di ferro trasformando l’Eritrea in una prigione, senza libertà di stampa, Costituzione, Parlamento. Da quando è al potere, centinaia di migliaia di eritrei sono fuggiti in Occidente. Secondo gli esperti, la diaspora eritrea si divide tra chi è partito da tempo, quando Isaisas Afewerki veniva considerato il salvatore della patria, e chi, fuggito per evitare l’arruolamento nell’esercito a tempo indeterminato, lo considera un assassino. Inoltre Afewerki, ormai 78enne, starebbe preparando il passaggio di testimone al figlio maggiore, Abraham. I tafferugli all’estero sarebbero quindi un’avvisaglia di quanto potrebbe succedere in Eritrea alla morte del dittatore.

Questi atti di violenza hanno suscitato indignazione in Svizzera. Sono stati presentati atti parlamentari, tra cui il postulato del senatore liberale radicale appenzellese Andrea Caroni, che chiede al Governo una riforma della legge sugli stranieri per sanzionare le persone che commettono violenze per difendere il regime da cui sono fuggite.

La mozione dell’ex consigliere agli Stati Thomas Minder invita, invece, il Consiglio federale ad avviare trattative con l’Eritrea cercando un accordo o un partenariato in materia di migrazione. Pur condividendo la richiesta di Minder, il Governo ricorda che l’Eritrea rifiuta categoricamente i rimpatri coatti e quindi anche un’intesa di riammissione. Gli sforzi diplomatici non hanno favorito passi avanti. Anche il tentativo di aprire uno spiraglio per futuri negoziati con iniziative promosse dalla Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) non ha portato a una soluzione. Dopo aver ridotto nel 2006 le operazioni di aiuto umanitario, nel 2016 la DSC ha lanciato due progetti di cooperazione per promuovere la formazione professionale e dare migliori prospettive di vita ai giovani eritrei in patria. Dopo una fase pilota, conclusasi nel 2019, la Svizzera ha stanziato ulteriori 4,3 milioni per altri quattro anni, fino a settembre 2024. L’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati giudica problematica questa collaborazione con l’Eritrea, poiché la cooperazione allo sviluppo non dovrebbe essere motivata da interessi di politica migratoria. Inoltre, c’è il rischio che la cooperazione con il Governo eritreo venga interpretata come un’approvazione delle sue politiche e come una rinuncia a criticare le violazioni dei diritti umani.

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