In un Paese con 9 milioni d’abitanti 270 strutture ospedaliere sono troppe? Alcuni esperti ticinesi a confronto
Scosse e segnali dal mondo della sanità svizzera. Le scosse arrivano dalle casse malati che giovedì scorso hanno azzerato le loro due associazioni mantello – Santésuisse e Curafutura – per dar vita ad un solo consorzio. Il futuro dirà se questa svolta improvvisa riuscirà anche a frenare la corsa senza fine dei costi sanitari. I segnali invece arrivano da diversi fronti – dalla politica ma anche dal mondo sanitario e della ricerca – e ci pongono una domanda di fondo: c’è troppo federalismo nella sanità svizzera? In altre parole i nostri 26 cantoni e i loro 26 diversi sistemi sanitari rappresentano davvero un modello virtuoso? Oppure c’è urgente necessità di ripensare questa struttura, perlomeno per quanto riguarda le cure ospedaliere? Il tema è di quelli spinosi perché c’è di mezzo l’ampia autonomia accordata ai cantoni in questo ambito.
L’argomento interpella direttamente anche gli addetti ai lavori. «È un grande diatriba tra Berna e i cantoni – ci dice Glauco Martinetti, direttore in Ticino dell’Ente Ospedaliero – Personalmente penso che la vicinanza al territorio sia positiva, perché permette di capire meglio le problematiche sanitarie locali. In questo ambito è comunque evidente che i parlamenti dei singoli cantoni si muovono in modo molto regionalista». Il tema riguarda anche i medici, in particolare chi come Jacopo Robbiani, specializzato in urologia, segue da anni l’argomento, a cui ha dedicato anche la propria tesi di Master in economia sanitaria presso l’USI di Lugano.
La qualità e la quantità
«Per alcuni miei pazienti ritengo che il ricovero in ospedali d’Oltralpe sia più appropriato. Nel mio ambito specifico si tratta di interventi programmabili e complessi, molto spesso in ambito oncologico. Stiamo parlando di una casistica limitata, per malattie che però hanno un forte impatto sulla salute delle persone. Il paziente ticinese viene portato in un grande centro e operato con le competenze di questa struttura d’eccellenza. Questo significa cedere anche un po’ del proprio ego, ma lo si fa per il bene del paziente e per accrescere la qualità delle cure». Paziente che però solitamente preferisce il ricovero vicino a casa. «Questo è comprensibile – replica il dottor Robbiani – occorre però capire che il numero di interventi effettuati da un singolo chirurgo determina in modo molto importante la qualità delle cure. Se il paziente riesce a far propria questa dimensione si rende conto che la vicinanza geografica diventa un elemento marginale. La vera strategia consiste nell’avere dei coordinamenti sovra-cantonali che permettono davvero di creare una concentrazione della casistica. A tutto vantaggio della qualità delle cure». In altri termini i numeri giocano un ruolo fondamentale. «L’EOC non dispone di tutti i mandati specialistici proprio perché non ha i numeri – sottolinea il direttore Martinetti – per questo motivo alcuni pazienti devono essere ricoverati oltre San Gottardo. L’Ente ha sottoscritto un centinaio convezioni, che ci permettono di collaborare con i grandi ospedali svizzeri. In Svizzera c’è comunque un organo di controllo per i mandati altamente specializzati (Mas) che ogni anno verifica il rispetto dei numeri minimi per ogni tipo di intervento. E se un ospedale non riesce a raggiungere queste soglie perde immediatamente la propria certificazione, i controlli sono molto severi in questo ambito. L’EOC raggiunge questi obiettivi, ma in alcune casistiche ha numeri inferiori a quelli di diversi altri cantoni svizzeri. La qualità delle cure comunque è data. E su questo punto aggiungo anche che, per diverse specialità, ad esempio l’ortopedia, teniamo conto anche dei numeri di ogni singolo chirurgo. Queste verifiche interne supplementari, che nessuno ci obbliga a fare, hanno lo scopo di vigilare ancor più sulla qualità delle cure». Va comunque ricordato che in questi ultimi anni i bilanci degli ospedali chiudono spesso nelle cifre rosse.
La sostenibilità finanziaria
Il federalismo sanitario non andrebbe rivisto anche per questo motivo? Domanda che giriamo a Paolo Bianchi, direttore della Divisione salute pubblica al Dipartimento Sanità e Socialità. «Già oggi i mandati della medicina altamente specializzata sono sottratti alla competenza dei singoli Cantoni e assegnati da un organo inter-cantonale. Anche per prestazioni più ordinarie e interventi più frequenti l’offerta degli ospedali è complementare a livello regionale, penso ai Cantoni della Svizzera centrale o orientale. Questa complementarità è plasmata anche dalle scelte dei cittadini, in queste regioni vi sono in effetti flussi importanti di pazienti che decidono di farsi ricoverare fuori dal proprio cantone di domicilio». C’è però da dire che gli assicuratori malattia dispongono ora del diritto di ricorrere contro la pianificazione ospedaliera dei singoli cantoni, proprio per incanalare il sistema verso una maggiore coordinamento inter-cantonale. Una leva che le casse sono più che intenzionate a utilizzare. «Trovo che questo appello a un maggior coordinamento sia fuori luogo se pensiamo alla realtà geografica e linguistica del Canton Ticino – ci dice ancora Paolo Bianchi – Del resto, solo il 5% dei pazienti ticinesi sceglie di rivolgersi ad una struttura d’oltralpe. Gli assicuratori malattia si sono adoperati per riacquisire questa facoltà di ricorso. È uno strumento aggiuntivo di cui va tenuto conto, ma che non muta l’impegno delle autorità cantonali nel proporre soluzioni equilibrate, nell’interesse dei cittadini sia come pazienti che come assicurati, chiamati a pagare dei premi obbligatori». Resta il fatto che in Svizzera ci sono attualmente oltre 270 ospedali, troppi per un Paese di 9 milioni di abitanti? «È evidente che una ristrutturazione del sistema è un’ipotesi del tutto plausibile – dice Glauco Martinetti – se guardo al Ticino devo però dire che all’EOC gestiamo strutture sempre molto piene. Abbiamo un’occupazione che arriva all’80-85%, con picchi del 100% in inverno. Oggi è impossibile pensare di chiudere degli ospedali del nostro ente». Per il dottor Jacopo Robbiani invece «la sostenibilità finanziaria di molti ospedali è ormai al limite, bisogna ricreare una architettura sanitaria differente e rendere più efficace l’organo di controllo per i mandati altamente specializzati, il Mas, che ritengo ormai vetusto. Lo scopo deve essere quello di riuscire a concentrare le risorse, anche umane, in ospedali in cui il numero di interventi sarà più elevato. Nel prossimo futuro dovranno esserci pochissimi HUB ad alti volumi operatori, che forniranno in Svizzera una chirurgia d’eccellenza in grado di formare bravi chirurghi e di essere concorrenziale su scala europea». Pareri a confronto in un ambito delicato, la partita sul futuro del «federalismo sanitario» è aperta. A Berna e ai singoli cantoni il compito di affrontarla alla ricerca anche e soprattutto di un maggiore controllo della fattura sanitaria.