Quel che ci detterà la Posta

Occhiello a pagina 21 de «La Lettura» («Corriere della Sera» del 23 giugno): «Magistrato elvetico, Nicola Feuz, ha convinto anche Joël Dicker con il suo diciassettesimo giallo». E nel testo c’è questo «lancio» per l’ultima opera del procuratore pubblico e scrittore losannese tradotta in italiano: «Lo spunto per l’ultimo romanzo, come ha ammesso Feuz in una recente intervista, è partito proprio da una sollecitazione dell’azienda che lo invitava a ideare una storia che toccasse da vicino il “gigante” giallo della Confederazione». Strana intesa, visto che Feuz nel suo nuovo giallo ha creato un filatelista (il titolo è quello) che invia pacchi con macabri francobolli realizzati con pelle umana! E strana anche la coincidenza del lancio di questo libro tradotto in italiano con l’annuncio dello stesso «gigante» a fine maggio: nei prossimi anni chiuderà altre 170 filiali e a ristrutturazione completata il suo servizio pubblico sarà pertanto reperibile solo in 600 uffici gestiti in proprio e in 2000 sedi «ibride» dotate di personale. La colpa? Delle nuove tecnologie che impongono scelte imprenditoriali che non tollerano attenzioni e sensibilità verso chi non riesce a seguire, e pertanto deve subirli, i cambiamenti. Meno strano invece che, a distanza di pochi giorni, sia arrivato anche un carico da novanta politico: governo e capo dipartimento Albert Rösti vorrebbero che la Posta, per acquisire nuova flessibilità, faccia ricorso all’abolizione dell’obbligo di consegna nelle case abitate tutto l’anno e recapiterà «entro i tempi» almeno il 90% delle lettere e dei pacchi, a fronte delle disposizioni attuali che fissano la soglia al 97% per le lettere e al 95% per i pacchi. (Chi e in che modo controllerà quelle percentuali di servizio pubblico in meno non lo dice nessuno).

La parola «abolizione» mi ha fatto riandare con la mente alla lungimiranza di Daniela Schneeberger, consigliera nazionale dei Verdi liberali di Basilea Campagna. Esattamente sette anni fa una sua interpellanza al Consiglio federale, accolta dalla maggioranza dei deputati della Camera bassa, venne fatta a pezzi e respinta agli Stati dove, sicuramente per caso, sedeva Christian Levrat, sindacalista che a quei tempi «studiava» per diventare uno dei sette saggi e invece oggi (sempre per caso) ritroviamo presidente del consiglio di amministrazione della Posta. La deputata verde-liberale, spinta anche dal fatto che già allora il cantone Basilea Campagna non aveva più alcuna filiale de La Posta, nell’interpellanza chiedeva al Consiglio federale come mai «con il pretesto della necessità di essere redditizia sul piano economico (…) la Posta rifiuta ormai da anni di soddisfare la richiesta più importante in tal senso: consentire ai concorrenti privati di usufruire degli uffici postali». Come esempio (e questa è la goccia che deve aver fatto scattare il veto degli Stati) ricordava che per Swisscom «l’utilizzo condiviso delle infrastrutture dell’ultimo chilometro e della rete Internet a banda larga presenta molti vantaggi tanto per il commercio quanto per la clientela, persino nell’ambito delle nuove tecnologie». Al contrario, la Posta sventola l’alibi di una indispensabile maggiore flessibilità e «colpevolizza» chi non scrive più lettere e chi non va più agli sportelli a ritirare o a spedire pacchi o soldi; la classe politica sembra pronta a una ulteriore riduzione dei servizi sinora garantiti e a tagli alle filiali. Nessuno parla più di abolizione del «chilometro zero» per la Posta o di ricerca di altri tipi di flessibilità, magari partendo da quella raggiunta da Swisscom che, libera da clausole protezionistiche, oggi può addirittura fare investimenti anche all’estero.

Affido la chiusura a Graziano Pestoni, presidente dell’Associazione per la difesa del servizio pubblico, che ha definito quelle della Posta «attività dissuasive» di un «processo di distruzione di un servizio pubblico di alto valore», elencandole nell’ordine: la distanza crescente degli uffici postali dal domicilio; l’aumento dei prezzi e il mancato rispetto dei tempi di consegna delle lettere; i costi per i pagamenti agli sportelli che le banche fanno gratuitamente, la diminuzione del numero delle bucalettere e delle svuotature; la diminuzione degli orari di apertura degli uffici postali. Ecco: i costi del «chilometro zero» monopolistico sono questi.

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