Sfogare la rabbia in una stanza

by Claudia

In molti Paesi, Svizzera compresa, le rage rooms si sono moltiplicate: a frequentarle sono soprattutto le donne Ne abbiamo parlato con lo psicoterapeuta Alessandro Motta

La rabbia è un’emozione intensa e spesso fraintesa, che gioca un ruolo importante nel nostro benessere psicologico. Più precisamente, fa parte delle emozioni primarie, quelle cioè che sono innate e universali, ed è primordiale, in quanto determinata dall’istinto di difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova. La si sperimenta, per esempio, nel momento in cui si percepisce un ostacolo nel raggiungimento di un obiettivo oppure si considera una persona responsabile di averci procurato un danno. La percezione di ingiustizia o disuguaglianza è un fattore scatenante comune, come lo sono i conflitti interpersonali. Pure vivere costantemente situazioni di stress può portare a un senso di frustrazione e rabbia.

Quando proviamo questo tipo di emozione il sistema nervoso simpatico si attiva, rilasciando adrenalina e noradrenalina, ormoni che preparano il corpo alla «lotta o alla fuga», aumentando frequenza cardiaca, pressione sanguigna e respirazione. Di conseguenza la nostra reazione a livello fisico può essere quella, per esempio, di tirare un pugno o rompere un oggetto. A livello psicologico spesso si avverte invece una forte irritabilità o un senso di frustrazione. La mente può diventare meno lucida, portando a reazioni impulsive o verbalmente aggressive.

Si capisce così perché si tenda a percepire la rabbia come negativa, socialmente sbagliata e riprovevole. «La rabbia, come l’invidia e l’aggressività, sono emozioni scomode che molti rifiutano di avere o di vedere – afferma lo psicologo e psicoterapeuta Alessandro Motta – in realtà di per sé di cose negative la rabbia non ne ha, a meno che non venga usata per nuocere a sé stessi o gli altri; è un motore, e senza motore non si va da nessuna parte».

Per spiegare il suo concetto, lo psicoterapeuta parte dal padre della psicanalisi: «Freud distingueva due grandi pulsioni, la libido e la pulsione di morte. La prima – che fa corrispondere alla sessualità unita all’affettività, all’amore quindi – contiene in sé l’idea della “realizzazione”, come cioè una persona riesce a realizzare qualcosa nella propria vita. Questo ci porta a un concetto molto importante, quello dell’“impasto pulsionale”, il quale prevede che la pulsione di vita – la libido – abbia bisogno per una sua realizzazione positiva di intrecciarsi con la pulsione di morte, e cioè con emozioni connotate negativamente come aggressività, odio e rabbia». In un modo apparentemente paradossale Freud ci dice così che non si può costruire nulla senza la voglia di distruggere, come dicono i giovani d’oggi di «spaccare». «L’uso di questo verbo esprime proprio il concetto che, per realizzare qualcosa, bisogna far entrare in campo la voglia di distruzione – commenta Motta – per questo motivo è importante riuscire a esprimere la rabbia e, per noi psicologi, sentirla di più equivale a salute, di meno – potenzialmente – a patologia». Non riuscire a dare uno sfogo adeguato, seppur soggettivo, alle proprie emozioni negative, può rendere infelici e insoddisfatti e pure nuocere alla salute. «Inoltre, come diceva Jung, ogni problema non risolto dei genitori tende a tramandarsi come problema da risolvere per i figli – aggiunge lo psicoterapeuta – nel caso specifico, un genitore che ha problemi a entrare in contatto con la propria rabbia, difficilmente tollererà quella del figlio e sarà in grado di educarlo a canalizzarla in modo costruttivo, trasformandola in una forza propulsiva per il cambiamento».

Oggi per «tirar fuori» la rabbia c’è una possibilità in più, chiamata rage room o «stanza della rabbia», degli spazi progettati per spaccare oggetti di vario tipo, un po’ per gioco e un po’ per sfogo, in sicurezza, alleviando stress e frustrazioni. In Svizzera ne esistono attualmente una a Frauenfeld, nel Canton Turgovia, e una a Cernier, nel Canton Neuchâtel. Una nuova apertura è prevista per l’estate, nella Svizzera tedesca. In Italia le rage rooms – dette anche anger rooms o smash rooms – si stanno diffondendo, soprattutto nelle grandi città, tanto che esiste già uno smartbox loro dedicato.

L’origine di queste stanze si deve ad alcune grandi aziende nipponiche che hanno così voluto dare l’opportunità a manager e dipendenti di scaricare le tensioni in un modo e in un luogo controllati. Negli Stati Uniti – dove il business delle rage room è in crescita – vengono usate, anche, per rafforzare lo spirito di squadra e aiutare i dipendenti a sfogare rabbia e stress. E sono numerosi i Paesi nei quali negli ultimi dieci anni le stanze della rabbia hanno fatto la loro comparsa.

Come si commenta, quindi, il loro successo? «In modo positivo direi, in quanto si tratta di uno strumento in più e anche migliore rispetto, per esempio, ad un allenamento di boxe, per sfogare la rabbia, essendo strettamente collegato proprio con la distruzione. Questi luoghi, inoltre, diventano una maniera socialmente accettabile di esprimere e di agire cose che sono dentro di noi», afferma Alessandro Motta. A una stanza della rabbia ci si presenta infatti previo appuntamento, in genere da soli, anche se alcune strutture prevedono la possibilità di esperienze in coppia o di gruppo. Dopo una breve istruzione circa il regolamento e l’uso corretto del luogo, il personale fornisce ciò che serve a distruggere (mazze da baseball, ferri da golf, piedi di porco e simili), il vestiario antinfortunistico (casco, guanti, occhiali protettivi e protezioni per il corpo) e il kit degli oggetti da rompere (bicchieri, stampanti, televisori, quadri e altro ancora). Dopodiché comincia la «sessione» vera e propria, che dura dai 15 minuti in su. Una musica ad alto volume, spesso hard rock, fornisce ulteriore carica ai partecipanti, oltre a fare da sottofondo a piatti che volano, monitor presi a mazzate e bottiglie ridotte in frantumi. Non è consentito distruggere né manomettere il locale, che in genere è una stanza di una quarantina di metri quadrati, rivestita di pannelli fonoassorbenti e protettivi. Per il resto tutto è lecito: gridare, dire parolacce o inveire contro chi si vuole e, a volte, pure portare da casa oggetti che si desidera frantumare assieme a quanto fornito. Un addetto controlla attraverso telecamere il rispetto delle norme e supervisiona il cliente, che dev’essere maggiorenne e in buone condizioni di salute.

Tendenzialmente chi decide di andare in una anger room lo fa o per fare un’esperienza sui generis o per sfogare la rabbia accumulata. In un articolo dedicato da «il Post» a questo fenomeno, dei gestori di una struttura milanese riferiscono che chi ci va per la prima volta all’inizio sembra in genere un po’ stranito e in imbarazzo, forse a causa di pregiudizi sociali e culturali che ci portano a concepire la distruzione come un tabù o un’azione illecita. Una volta usciti, tutti commentano però positivamente l’esperienza.

Sempre su «il Post» si legge che sia negli Stati Uniti sia nel Regno Unito è stato osservato come il target dei frequentatori sia costituito prevalentemente da donne, tendenza confermata anche da gestori italiani. A proposito, uno studio condotto nel 2015 dall’Università statale dell’Arizona in collaborazione con l’Università dell’Illinois a Chicago evidenziava come le donne tendano a essere giudicate più negativamente rispetto agli uomini quando esprimono rabbia. Le rage room potrebbero quindi essere da loro percepite come luoghi idonei a sfogarsi, in quanto non viste, sentite né giudicate.

L’idea che sfogare le emozioni – la rabbia nello specifico – attraverso il corpo possa avere effetti positivi non è di per sé nuova. È quello che in fondo avviene, banalmente, con l’attività fisica. Nel caso delle stanze della rabbia, chi le ha provate riporta che la sensazione, nell’immediato, sia elettrizzante, distensiva e liberatoria. «Se sfogare la rabbia è sicuramente meglio che tenersela dentro, uno dei limiti di tali stanze è che si possa essere portati a vederle come una soluzione a quello che si sente», commenta Alessandro Motta. Invece il senso di soddisfazione che si prova nello spaccare degli oggetti è temporaneo e dovuto alla stimolazione della produzione di ormoni legati al piacere come la dopamina e le endorfine. «Quello che sarebbe importante, da un punto di vista psicologico, è che la rabbia non resti confinata all’interno di una rage room ma possa essere dapprima compresa e successivamente espressa al servizio della persona per fare in modo che realizzi le cose che desidera nella propria vita», continua lo psicoterapeuta. Le rage room possono quindi essere un’utile valvola di sfogo per chi già è in contatto con le proprie emozioni ed è in grado di gestirle. Se così non fosse, l’ideale sarebbe intraprendere un lavoro sulle proprie emozioni, nel quale una stanza della rabbia potrebbe essere un tassello.

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