Un ritorno al buon senso

by Claudia

Il Gran Bretagna il Labour di Keir Starmer trionfa e si materializza l’idea di smussare gli aspetti più ruvidi della Brexit

«Il cambiamento inizia adesso». Il Labour di Keir Starmer (nella foto) ha scalato la montagna e ha stravinto: 410 seggi almeno, un numero enorme, appena inferiore a quanto fatto da Tony Blair nel 1997 (erano 419 all’epoca), grazie a una campagna convincente ed elusiva, povera di dettagli e ricca di quelle qualità che soprattutto nelle ultime fasi della lunga stagione conservatrice – 14 anni, 5 premier – era mancata moltissimo al Regno Unito, ossia l’affidabilità, i toni pacati, l’assenza di ideologia trascinante. I Tories, che ipotizzavano di poter scendere addirittura sotto i 100 seggi, ne hanno raccolti 114 secondo i risultati quasi integrali (venerdì mattina, quando il giornale andava in stampa, mancavano 15 seggi da conteggiare), mentre ReformUk, il partito di Nigel Farage, ne ha presi 4 tra cui lo stesso leader, che non è male per i suoi standard nonostante gli exit polls gliene dessero addirittura 17. I LibDem, spazzati dalla mappa elettorale per anni dopo che avevano tradito il loro elettorato middle class votando a favore dell’aumento delle tasse universitarie ai tempi del governo di coalizione con David Cameron, sono tornati alla carica con 70 deputati. A perdere terreno, senza pietà, sono stati gli indipendentisti scozzesi dell’SNP, con 8 deputati, dopo una stagione di scandali e di problemi di leadership, così come i Verdi, che hanno chiuso con un risultato debole.

Era appena il 2022 e Boris Johnson era così sicuro del fatto che avrebbe passato una lunghissima stagione alla guida del Paese che la sua giovane moglie, si racconta, aveva fatto ricoprire le pareti di Downing Street di carta da parati dorata, guadagnandosi il soprannome di Carrie Antoinette. Ora i Tories hanno registrato il risultato peggiore della loro storia, e non è solo colpa di Rishi Sunak, un leader forse inadatto – poco incisivo, troppo ricco – ma bene intenzionato. Il disastro pesa sulla coscienza di tutti quelli che hanno lasciato che l’esperimento della Brexit andasse in una direzione ancora peggiore del voto stesso, facendone un grande «tana libera tutti» per politiche estreme e attacchi alle istituzioni, nazionali e internazionali, e a chiunque osasse mettersi di traverso sulla via dei britannici verso un’indipendenza che iniziava a sapere di irresponsabilità.

E ora questo risultato elettorale che sa di ritorno alla normalità, al buon senso, ed è un tributo alla scelta di Starmer di non cavalcare assolutamente nessuna polemica negli ultimi anni, a costo di sembrare noioso, di sembrare debole o fuori sincrono con un dibattito diventato sguaiato, estremo. È vero, ReformUK si è rafforzato, ha tolto (poca) energia ai Tories, ma ha anche catalizzato quel tipo di elettorato scontento e estremista che ormai si vede in tutto il mondo e con il quale bisognerà continuare a fare i conti in futuro, liberando il campo a una ricerca di moderazione che i Tories, ormai in bancarotta di idee, non hanno saputo intercettare. Perché la maggioranza dei britannici ha dimostrato di essersi vaccinato contro gli eccessi e ora starà a Keir Starmer dire se l’instabilità politica sia ormai parte integrante dello scenario oppure sia stata un incidente della storia, una di quelle cose che tra le aule di Oxford o Cambridge tra qualche anno verrà studiata come una stagione di follie e Governi in rapido turnover.

Indette poche settimane fa da Sunak, le elezioni stesse sono state piuttosto pacate, rispetto agli standard del passato. Ci sono stati dei punti fissi. Il sostegno all’Ucraina, per esempio, non è mai stato in discussione. Il Paese è saldo dietro a Kiev e nessuno si è fatto venire in mente di dire cose dissonanti a proposito. Quando Nigel Farage ci ha provato, si è tirato dietro una pioggia di critiche indignate.

Il Paese nonostante tutto ha mantenuto dei punti di forza e sa rimbalzare. Starmer ha escluso del tutto che rimetterà mano alla Brexit, ma non stupirebbe se ci fossero piccoli aggiustamenti per smussare gli aspetti più ruvidi, anche perché tutto il suo piano economico, messo a punto (senza molti dettagli a dire il vero) insieme alla cancelliera Rachel Reeves, è basato sulla possibilità di tornare a crescere abbastanza da sostenere la spesa senza alzare le tasse. Ora bisognerà vedere quanto il premier, di cui Angela Raynor, ex sindacalista nata in una casa popolare di Manchester e diventata madre a 16 anni, diventerà la vice, sarà in grado di dare corpo e spessore a un progetto che agli occhi di molti è parso una tribute band del Governo di Tony Blair. «A tutti coloro che hanno fatto campagna per i Laburisti in queste elezioni, per tutti quelli che hanno votato e dato la loro fiducia al nostro partito laburista rinnovato, grazie», ha detto Starmer, citando quello che fino ad ora è stato il suo successo più tangibile: l’aver portato il partito fuori dalle secche dell’invotabilità dove era stato arenato dalla leadership di Jeremy Corbyn, dalle faide interne e dall’antisemitismo che si respirava, tra risentimenti esibiti e messaggi in grado di terrorizzare l’elettorato.

Anche il tabloid «The Sun» ha titolato che era «Tempo per un nuovo allenatore (e non stiamo dicendo di mandare via Southgate)», spiegando nel suo editoriale che «detta con franchezza, i Tories sono sfiniti». Forse il segreto è proprio nel cambiamento, nella necessità di un Paese di fare tesoro dell’alternanza democratica e trovare nuova linfa non nella ricerca affannosa di novità – basta ricordare Liz Truss e il suo Governo lampo per provare un brivido verso chi vuole proporre brusche rivoluzioni – ma in quel rinnovamento che viene da un nuovo sguardo sulle cose. Il Regno Unito ha un rapporto affettuoso e devoto nei confronti della tradizione, ma è nella modernità che trova la sua cifra. E nell’apertura: mentre la Francia si fa sedurre da chi vuole riservare certi posti a chi non ha origini straniere, negli ultimi anni il Paese è stato guidato da Rishi Sunak e dalla sua squadra multietnica senza clamore, e nessuno, a parte qualche retrivo nel partito di Farage, ha battuto ciglio. Che venga questa nuova stagione, senza dimenticare tutto il buono che già c’è.

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