I festeggiamenti per i 75 anni della Nato, culminati nel vertice a Washington di settimana scorsa, rappresentano un momento di riflessione sul presente e sul passato dell’organizzazione
«Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse (…) deve essere considerato come un attacco diretto contro tutte le parti (…) ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva (…) assisterà la parte o le parti così attaccate attuando (…) tutte le azioni che ritiene necessarie, incluso l’uso della forza armata». Così l’articolo 5 del Trattato atlantico, elemento cruciale dell’Alleanza ancora al centro della scena internazionale, che in questo periodo compie tre quarti di secolo. Fu infatti il 4 aprile del 1949 che i dodici fondatori della Nato firmarono a Washington il Patto atlantico. Oggi i membri dell’alleanza sono trentadue. Nell’occasione celebrativa, culminata nel vertice di Washington di settimana scorsa, si è messo in evidenza come l’Alleanza transatlantica, legando le sorti dell’Europa occidentale con quelle degli Stati Uniti e del Canada, abbia dominato la scena mondiale per tre quarti di secolo. Oggi è alle prese con la tremenda attualità della guerra ucraina, che nei confronti della Nato ha esercitato una duplice contrastante funzione, una singolare contrapposizione di forze centrifughe e centripete.
Da una parte la Turchia e l’Ungheria, i due alleati più recalcitranti. Il primo, che nell’Alleanza riveste il ruolo di massima potenza convenzionale, sempre più sensibile al fascino orientaleggiante dell’impero ottomano, il secondo attestato su una posizione filo-russa in netto contrasto con l’attuale ortodossia atlantica. Dall’altra parte i due Paesi, prima la Finlandia poi la Svezia, che proprio la crisi ucraina ha indotto a superare radicate posizioni neutraliste per entrare a loro volta nell’Alleanza. Dalla originaria connotazione anti-sovietica, la Nato è passata a una posizione anti-russa che ha trovato le sue ragioni nell’occupazione della Crimea del 2014 e in tutto quello che è seguito. Quella annessione diede origine a una serie di pressioni e provocazioni culminate nell’«operazione militare speciale» ordinata da Mosca all’interno del territorio ucraino. Le truppe russe mossero in difesa di una minoranza russofona e russofila: una volta ancora era esplosa la contraddizione fra due principi cardine delle relazioni internazionali: il diritto all’autodeterminazione dei popoli e l’inviolabilità delle frontiere. Intanto due apparati propagandistici contrapposti, e spesso ugualmente inattendibili, presero a difendere le indifendibili ragioni della guerra.
Gli alleati di ieri erano da tempo ai ferri corti. Nella stagione seguita alla sconfitta del nazismo l’alleanza fra l’Occidente e l’Unione sovietica era caduta in pezzi, mentre l’Armata rossa vittoriosa fra le macerie di Berlino non nascondeva l’ambizione di aggregare altri Paesi, dopo quelli orientali occupati durante la marcia sulla capitale di Hitler, in un disegno egemonico che parve trasfigurare l’Europa in una propaggine del Continente asiatico. Un sistema sovietico dal Pacifico all’Atlantico, dalle isole Aleutine fino alle spiagge normanne che videro lo sbarco dell’armata anglo-americana del generale Eisenhower? Fu proprio questa prospettiva, vera o presunta, a tenere a battesimo la Nato, non a caso ostacolata proprio dai partiti comunisti fedeli a Mosca, particolarmente attivi in Paesi come l’Italia e la Francia. Secondo una celebre battuta di quegli anni, la scommessa consisteva nel tenere l’America dentro, l’Unione sovietica fuori, la Germania sotto. Mosca reagì alla nascita del gruppo transatlantico riunendo in un’alleanza parallela, il Patto di Varsavia, i cosiddetti satelliti dell’Europa orientale.
E così prese il via il lungo cammino della Guerra fredda, destinato a durare fino alla caduta del Muro di Berlino e al collasso dell’Unione sovietica. A quel punto la questione Nato si pose in termini di pura e semplice sopravvivenza. L’Alleanza doveva scomparire con la fine del nemico sovietico? Fu proprio Mosca, avvicinandosi al gruppo ostile degli anni precedenti fino a non escludere l’ipotesi dell’adesione, a decretarne il rilancio. Si tennero persino esercitazioni militari congiunte degli ex nemici. Il famoso articolo 5 fu invocato una volta sola. Avvenne un decennio dopo la scomparsa di quello che era stato il nemico della Nato, in un certo senso la sua ragion d’essere. Non fu un Paese minore, secondo lo scenario più volte evocato nelle esercitazioni, a ricorrere alla clausola difensiva ricevendo l’apporto decisivo della superpotenza americana. Fu al contrario proprio l’America, attaccata nella sua metropoli più significativa dal terrorismo islamico con la strage delle Torri gemelle, a coinvolgere gli alleati nella lotta contro i nuovi nemici. Di fatto, durante la guerra fredda la Nato esercitò le sue funzioni più che altro mettendo in atto massicce esercitazioni, con trasporti di truppe e armamenti da un Continente all’altro, che la controparte sovietica interpretava come provocatorie esibizioni muscolari.
Solo dopo la fine dell’Urss all’inizio degli anni Novanta l’Alleanza doveva scendere in campo, dapprima nella ex Jugoslavia e più tardi, nel 2005, assumendo in Afghanistan il comando delle Isaf (International security assistance forces): una missione delle Nazioni unite di appoggio al governo di Kabul sfidato dai talebani e da Al-Qaeda. Dieci anni pià tardi una nuova missione, Resolute support, concluse con il ritiro delle truppe il coinvolgimento dell’alleanza, e dell’Occidente, in Afghanistan. Fu una fuga, una sconfitta, una pagina nera. Ormai l’orizzonte atlantico si era spostato verso i confini della Russia, con l’adesione all’Alleanza del blocco che aveva costituito il Patto di Varsavia e delle tre repubbliche baltiche che avevano riscattato la loro indipendenza dopo decenni di occupazione sovietica. La Russia, che pure a suo tempo non aveva escluso la clamorosa ipotesi dell’ingresso dell’Alleanza, ne prese le distanze fino a considerarla il nemico per eccellenza con l’avvio dell’«operazione militare speciale». Fin dal 2006 l’Ucraina ha avviato la procedura di adesione. Accantonato quattro anni dopo dal Governo di Viktor Janukovyc, il progetto ha ripreso vigore dopo che nel 2010 è salito alla presidenza Volodymyr Zelenskyj. Mosca è decisamente ostile, considera infatti in termini di aggressione ogni avvicinamento della Nato ai suoi confini. L’Alleanza considera l’accesso di Kiev «irreversibile» ma lo rinvia alle calende greche. Intanto 77 ucraini su cento, secondo un sondaggio d’opinione, coltivano il sogno più o meno proibito di diventare il trentatreesimo alleato atlantico.