L’ultimo film di Yorgos Lanthimos
Che dire dell’ultima opera di Yorgos Lanthimos? Che funziona solo in parte. Seppur interessante, non è riuscita completamente. Probabilmente ci sono un paio di problemi a monte del progetto. La divisione in tre episodi distinti anche se collegati e l’assenza di una storia forte e coinvolgente come era stata quella di Povere Creature (il film vincitore del Leone d’oro all’ultima Mostra di Venezia). Kind of Kindness – presentato in competizione all’ultimo Festival di Cannes – è arrivato in queste settimane nelle nostre sale cinematografiche.
Come detto, è un film a episodi e si basa su altrettante ricerche. La prima è quella di un uomo che vuole riprendere il controllo della propria vita: Robert, impiegato in una grande azienda, segue come un automa quanto gli dice il capo. Un vero e proprio boss (Dafoe) che gli ordina qualsiasi cosa fino ad arrivare alla richiesta più estrema: un omicidio. Ed è appunto davanti a una domanda di tale portata che Robert deve scegliere se riprendersi la vita. La seconda ricerca è quella di un poliziotto. Deve cercare la moglie scomparsa in mare, ma quando la ritrova non reagisce come dovrebbe. Osserviamo infatti la riunione di una coppia, all’apparenza normale, che tuttavia nasconde una vita privata complicata. La terza ricerca è quella di una donna che indaga su una ragazza dai poteri sovrannaturali. Un’investigazione difficile, anche perché si mescola con quella dentro lei stessa.
Scritto con Efthymis Filippou (suo storico collaboratore), il film è un ritorno alle origini, alle produzioni precedenti Povere Creature con l’assurdo, la violenza e il grottesco che diventano preponderanti e sono inseriti in una costruzione scenica sempre molto curata, precisa e geometrica. Quasi a ricordare, a livello estetico e nella visualizzazione degli spazi, la pulizia scenica di Kubrick. A livello tematico il regista prosegue la sua riflessione sul libero arbitrio e il conformismo. In sostanza, nei suoi film – questo, l’ultimo esempio – si tratta sempre di capire fino a dove l’uomo può spingersi per avere il controllo delle cose ed essere libero di decidere. E di come sia difficile gestire la libertà acquisita. Si tratta, cioè, di capire dove sta il giusto equilibrio tra queste due dinamiche. Una questione centrale nei diversi personaggi come nei tre interpretati dalla bravissima Emma Stone: «I miei tre ruoli – ha precisato nella conferenza stampa di Cannes – sono diversi sotto molti aspetti, ma il principio guida che ho trovato in essi è questo equilibrio tra il desiderio di essere amati, accettati e persino controllati, e il desiderio di essere liberi e responsabili di sé stessi, anche se ciò significa perdere l’amore».
Nei tre episodi gli interpreti sono gli stessi anche se recitano in ruoli diversi. Oltre a Emma Stone, il cast comprende Margaret Qualley, Willem Dafoe e soprattutto Jesse Plemons, che a Cannes ha ottenuto il premio per la miglior interpretazione maschile.
Ma veniamo al primo nodo problematico. La divisione in tre storie separate non riesce a coinvolgere del tutto lo spettatore. Se la prima è piuttosto riuscita e ha una sua logica narrativa, la seconda è più criptica, astrusa e lenta nel suo ritmo interno. Mentre la terza ha un picco finale interessante che, tuttavia, non basta. Del resto, è lo stesso regista che ammette il cambiamento in corsa del progetto. «Abbiamo iniziato con una storia singola, ma mentre ci lavoravamo abbiamo pensato che sarebbe stato meglio e più interessante farlo esistere in un film strutturalmente diverso. Dopo aver individuato altre due storie, volevamo mantenere un filo tematico che le attraversasse per dare loro una somiglianza familiare». Ecco, è proprio questo passaggio, dal progetto di un film unico a tre mediometraggi, a non funzionare appieno. Si nota abbastanza chiaramente la disparità tra i vari episodi e il fatto che il regista sia partito dal primo per poi aggiungere gli altri due in corso d’opera.
La seconda questione che non convince del tutto è la compattezza narrativa. Se l’evoluzione del personaggio di Bella, in Povere Creature era la sua forza e la narrazione lineare, semplice ma efficace, ne sottolineava ogni progresso, qui il tutto è più astratto. In Kind of Kindness non vediamo una vera e propria evoluzione, ma abbiamo delle situazioni, anche astruse e respingenti per lo spettatore. Non entra quindi in gioco il meccanismo dell’identificazione e noi non riusciamo a immedesimarci in nessun personaggio. Questa distanza tra spettatori e personaggi, certamente voluta dal regista, ci allontana dalle storie raccontate e rende il tutto asettico e troppo formale. Il film, in definitiva, si concentra sull’estetica, dove vengono mescolati – anche in modo sapiente – i primi piani alle panoramiche, i colori pastello al bianco e nero, i suoni gravi e drammatici a quelli più d’ambiente, mettendo in secondo piano la forza narrativa, la storia. Ecco perché, il film è riuscito a metà.
Protagonista, la sempre bravissima Emma Stone. (Wikimedia Commons)