Sulla via degli -stan, in attesa di partire per l’Africa

Dapprima fu l’Oriente. Negli anni Sessanta un pittoresco e scombinato convoglio di veicoli inaffidabili, a cominciare dall’iconico Kombi, prese la via di Kathmandu, la capitale del romantico e medievale Nepal, lungo la rotta hippie. I loro eredi puntarono verso la Thailandia, zaino in spalla; oggi piacciono Laos e Vietnam.

Negli anni Settanta molti viaggiatori indipendenti scelsero invece l’America centrale, affascinati dalla cultura popolare, dalle rovine maya e dalle spiagge tropicali; la carismatica figura di Ernesto Che Guevara fece il resto.

È invece più recente, a partire dal nuovo millennio, l’interesse per i Paesi «-stan» (Kazakistan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan).

La prossima frontiera dei viaggiatori indipendenti potrebbe però essere l’Africa. Sino ad ora è rimasta ai margini del turismo mondiale; registra 70 milioni di arrivi internazionali, appena il 5% del miliardo e mezzo totale. Oltretutto le differenze interne sono fortissime. Marocco, Tunisia ed Egitto fanno la parte del leone e sono pienamente integrati nel sistema del turismo mediterraneo (che vale da solo un terzo del movimento mondiale). All’estremità meridionale del continente anche il Sud Africa è molto attivo, declinando nelle proposte sostenibilità e riconciliazione nazionale. Gli altri cinquanta Stati africani si spartiscono le briciole. L’infinita distesa assolata del Sahara, il «sesto oceano», con i suoi dieci milioni di chilometri quadrati, è una barriera che da sempre separa storie e destini.

Nell’Africa centrale e meridionale per lungo tempo hanno prevalso forme tradizionali di turismo, introdotte al tempo della dominazione coloniale: per esempio safari e visite ai parchi nazionali. Al di fuori di questi percorsi consolidati s’intravede ora qualche timido segnale di nuovi interessi, ma tutto o quasi è da scoprire. Per esempio cosa sapete di Accra? Poco o nulla, temo. Eppure nel 2023 Lonely Planet ha incluso la capitale del Ghana tra le mete di tendenza per la sua vita notturna, lo shopping, la gastronomia, la musica, la moda, l’arte e una vivace subcultura legata a surf e skateboard.

Quest’anno invece si parla molto del Benin. Il piccolo Paese dell’Africa occidentale conserva le memorie dell’antico Regno del Dahomey, con le sue donne guerriere e i palazzi della storica capitale Abomey. Inoltre il Benin è la patria spirituale del vudù, la misteriosa religione sincretica praticata ad Haiti dagli schiavi africani. Il più importante Festival del vudù si svolge a gennaio nella regione di Ouidah. Ma si può visitare anche Ganvié, gigantesco villaggio su palafitte costruito nel lago Nokoué. Dall’altra parte del Continente la costa swahili della Tanzania accoglie da millenni i viaggiatori, sospinti lungo le rotte commerciali create dal soffio dei monsoni. Qui, dove i nativi pescano su ngalawa di legno (tradizionali imbarcazioni a vela con bilancieri) accanto ai traghetti ad alta velocità, è particolarmente evidente la caratteristica mescolanza di tradizione e modernità.

L’Africa è pronta; trasporti e ospitalità sono già ben sviluppati, si tratta semmai di misurarsi con alcune resistenze psicologiche. Per esempio le vaccinazioni. Nell’Africa subsahariana sono generalmente raccomandate quelle contro febbre gialla, epatite, febbre tifoide, tetano, meningite, rabbia, colera, oltre a misure di profilassi per la malaria. L’elenco è abbastanza impressionante ma nella pratica tutte queste misure non sono sempre necessarie, specie se si viaggia nelle grandi città, e comunque il fastidio si riduce a poca cosa.

Pesa di più un’immagine del Continente largamente superata, troppo dipendente dalle migrazioni. In questa prospettiva l’Africa sarebbe solo una terra povera, arida, sconvolta da guerre e distruzioni, dalla quale tutti vogliono fuggire. Niente di più falso. Per cominciare l’Africa ha vastissimi suoli coltivabili (non sempre ben sfruttati). L’economia è vivace, in rapida trasformazione. Inoltre la violenza politica è in diminuzione; a partire dagli anni Novanta del secolo scorso sono sempre più frequenti elezioni democratiche dove si confrontano partiti diversi. E due Paesi, Etiopia e Tanzania, sono guidati da donne. È tempo insomma di superare molti luoghi comuni; anche per questo viaggiamo.

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