La chance di Harris

by Claudia

USA-3, la vicepresidente al posto di Biden?

AGGIORNATO AL 22 LUGLIO – C’è qualcosa di fresco in Kamala Harris. Come se fosse stata appena scoperta. Magari l’essere stata tenuta così in disparte, lontana dai riflettori da un’amministrazione che, secondo lei, negli anni non ha fatto nulla per valorizzarla, si rivelerà un vantaggio per la vicepresidente degli Stati Uniti. Ora che la situazione sembra precipitare per i democratici – dopo l’attentato a Donald Trump, il ticket con l’inquietante, energico J. D. Vance e il ritiro di Joe Biden – la stampa ha preso a interessarsi a lei. A chiedersi se davvero questa donna di quasi sessant’anni, ex procuratrice della California, con mamma di origine indiana e padre giamaicano, sia solo una figura bidimensionale scelta per accontentare le minoranze, e non quello che tutto il resto del suo curriculum suggerisce, ossia una persona capace, intelligente, preparata e pugnace, anche se – e su questo solo il tempo saprà dirlo – forse meno versata nell’arte di fare di ogni situazione un’opportunità.

Intanto la sua linea sta vincendo: Kamala Harris «non solo è una fantastica vicepresidente, ma potrebbe essere presidente», ha riconosciuto Biden, dando seguito alla dichiarazione cavalleresca e un po’ paternalistica del maggio scorso: «Il mio nome è Joe Biden. Lavoro per Kamala Harris. Le ho chiesto di essere la mia vicepresidente perché avevo bisogno di qualcuno di più intelligente di me». I repubblicani la odiano e ne hanno fatto il bersaglio di critiche, battute sul fatto che votando Biden si rischia di ritrovarsi lei alla Casa Bianca. Anche Nikki Haley, l’ex rivale di Trump, e la moglie di Vance sono di origine indiana, a riprova che la questione razziale inizia a funzionare a intermittenza in un mondo sempre più multietnico. La vera aggravante nel caso di Harris, nell’inconscio dei trumpiani, è che è una giurista e quindi rappresenta quell’odiato sistema che da anni perseguita il loro pupillo e che, soprattutto, ha una posizione netta sull’aborto e sulla libertà di scelta delle donne. Ma anche da sinistra in molti sono perplessi sul fatto che una donna appartenente a una minoranza etnica possa ottenere i voti necessari in un Paese che ha fatto fatica ad accettare Hillary Clinton.

Nonostante la serie infinita di nomi che sono stati fatti nelle ultime settimane come alternativa a Biden, Harris si sta comportando con esemplare fair play, mostrandosi salda e stabile, leale al suo capo e decisa, anche nelle interviste, a non fare passi falsi. Ogni tentativo di tirarle fuori una dichiarazione fuori luogo sta fallendo, ma si stanno moltiplicando gli articoli in cui si cerca di guardarla più da vicino, nel caso fosse un altro di quei casi di politica che non è stata vista arrivare. La stampa si interroga, per capire se qualcosa ci sia sfuggito di questa vicepresidente tutta giusta da un punto di vista simbolico e così inefficace nei suoi primi passi, quando rilasciava interviste catastrofiche e le sue dichiarazioni venivano definite «macedonie di parole». La si accusava di alterigia, ha avuto due anni deboli, poi tutto a un tratto si è svegliata. Sulla giustizia riproduttiva si è fatta sentire. Non ha paura di parlare di aborto, sebbene nel contesto più ovattato della salute delle donne e di sostegno alle famiglie. E quando la storica sentenza Roe vs Wade è stata annullata nel 2022, ha tuonato: «Come osano dire a una donna quello che deve fare con il suo corpo?».

Biden ora, da fuori campo, valorizza la sua vice. Certo, ultimamente l’ha chiamata «vicepresident Trump», ma il lapsus rispetto a quanto fatto nel dibattito televisivo è apparso tutto sommato trascurabile. La figura di lei sta assumendo risalto. A lei è legata una base di donne, famiglie, minoranze etniche, persone più a sinistra del presidente, gente che sulle armi vorrebbe un intervento più deciso, e non la si può rimuovere senza irritare questa base. Anche i giovani democratici che sono più sensibili alla crisi in Medio Oriente e alla situazione drammatica di Gaza la apprezzano, anche se lei sostiene che ci sia una differenza di tono, più che di sostanza, rispetto alla linea di Biden. I giovani «stanno mostrando quella che dovrebbe essere un’emozione umana», ha detto, precisando di respingere comunque molte delle cose che vengono dette durante le manifestazioni. La principale accusa nei suoi confronti è di non avere istinto politico. Sull’immigrazione, per esempio, non ha potuto fare granché anche perché Biden non ha dato priorità alla cosa, pur lasciando a lei il dossier nominalmente. E il fatto che sia stata tenuta fuori dal team Biden le dà una buona carta: può sempre dire che lei avrebbe voluto fare altrimenti. Nei sondaggi non va male, è al 42% e sta risalendo. Anche l’attendismo potrebbe essere un asset forte: un altro attendista con una mente giuridica, Keir Starmer, ha appena vinto le elezioni del Regno Unito usando l’antichissima tecnica di farsi sottovalutare fino a raggiungere l’obiettivo.

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