I due «scudi» di Ursula von der Leyen

Ursula von der Leyen è stata confermata alla presidenza della Commissione europea con più voti parlamentari della sua prima volta grazie in particolare al sostegno dei Verdi: di fronte alla minaccia dell’estrema destra – che controlla circa 200 seggi nell’Assemblea di Strasburgo – hanno deciso di unirsi alla coalizione europeista pure se il «green deal», spilletta del primo mandato di von der Leyen, non è più una priorità. I voti dei Verdi sono stati decisivi, perché nelle famiglie dei conservatori (quella di von der Leyen), dei socialisti e dei liberali ci sono state alcune defezioni. C’è un dato che ha incuriosito i commentatori: la Francia ha votato contro la presidente della Commissione. Ci sono attualmente 81 eurodeputati francesi e solo 26 di loro hanno approvato la riconferma, cioè i socialisti e i liberali (almeno così pare, il voto è segreto). Ma gli altri, che comprendono altri gruppi di destra, i Verdi e la France insoumise hanno votato contro. Questo esito è un po’ lo specchio della Francia di questo momento, alle prese con una trasformazione che non è la catastrofe che molti avevano previsto prima del voto anticipato ma che comunque denuncia un po’ di instabilità. Il presidente Emmanuel Macron aveva indicato von der Leyen per la riconferma, nonostante avesse fatto un po’ pesare questo suo sostegno, almeno prima del voto europeo del 9 giugno: ora la sua battaglia sarà quella di confermare il commissario francese della scorsa legislatura, Thierry Breton, che ha avuto parecchi dissapori con von der Leyen.

Un altro elemento rilevante per la presidente della Commissione è che il suo partito, il Ppe, si conferma egemone in Europa. Al potere da 20 anni nell’Ue, con anche la riconferma di Roberta Metsola alla presidenza del Parlamento europeo, e almeno 13 commissari nel prossimo Esecutivo, il Ppe esce rafforzato dal voto: alcuni esperti dicono che è l’unica formazione che si muove davvero come un partito e non come la sommatoria di partiti nazionali con obiettivi diversi. Questo non vuol dire che non ci siano state delle divisioni, anzi von der Leyen conosce molto bene il disamore dei suoi stessi compagni di partito, ma la macchina che ora permette di occupare posizioni chiave a Bruxelles funziona in modo molto efficace.

Che cosa vorrà farsene, von der Leyen, del suo secondo mandato? C’è il bilancio del primo a dare qualche indicazione. Intanto la presidente della Commissione è una leader cauta e calcolatrice, abituata a vedere come si posizionano i capi di Stato di Governo più influenti e poi decidere. A Bruxelles molti dicono, in modo talvolta ingiusto, che von der Leyen è in ritardo sulle cose ogni volta di sei mesi. Una volta Mario Draghi, quando era presidente del Consiglio italiano, le aveva chiesto se soffrisse di un deficit cognitivo perché, di fronte alla crisi energetica scatenata dall’invasione di Vladimir Putin in Ucraina, von der Leyen si era mossa molto lentamente. In realtà era la Germania che ci mise più degli altri a realizzare che la dipendenza dalle risorse russe andava riconvertita, e von der Leyen i ritmi e le esigenze tedesche le ha sempre rispettate. Questo è uno dei tratti della sua leadership: dare la priorità alla Germania e cercare di mantenere consenso ed equilibrio in un perenne negoziato. Il caso ungherese è lì a dimostrarlo, ancor più ora che il Paese ha la presidenza del semestre europeo (che Viktor Orban usa per evidenziare tutte le disfunzionalità europee, oltre che per fare visite non concordate a Putin). Non che l’Ungheria sia di facile gestione per nessuno, ma von der Leyen ha fatto particolare fatica a ovviare all’ostruzionismo di Budapest e ora aggiunge anche l’Italia di Giorgia Meloni tra i Paesi probabilmente ostili. Negoziazioni a parte, le priorità di von der Leyen saranno meno «verdi» e più rivolte alla difesa e al miglioramento della qualità della vita degli europei. Nel suo discorso al Parlamento europeo e nel manifesto che ha consegnato agli europarlamentari prima del voto di conferma, ha detto parole ispirate per quel che riguarda l’ambizione alla prosperità, alla democrazia e alla libertà. In modo più pratico, ha lanciato due «scudi» di protezione dell’Ue, uno aereo (la cui fattibilità è già molto discussa) e uno «democratico», contro la manipolazione delle informazioni e le interferenze straniere, in coordinamento con le agenzie presenti in ogni Stato. È l’assetto con cui l’Ue si presenta di fronte al terzo anno di guerra e alle turbolenze americane, verso cui il motto è: siamo pronti a tutto.

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