In auto da Luino a Zenna

Prima osservazione preliminare. Chissà quante volte Vittorio Sereni avrà percorso la strada che dalla sua Luino porta verso Zenna e la frontiera con la Svizzera. Se i luoghi sono prima di tutto costituiti dalla stratificazione psicologica ed esperienziale di chi li osserva, tornare su quella strada sarà stata per lui (come lo sarebbe per tutti) cosa sempre nuova: una rivisitazione capace di aggiungere o sottrarre a quel paesaggio elementi di senso, di rimettere in discussione ciò che se ne sapeva. Seconda osservazione preliminare. Mi pare che capiti piuttosto di rado che al movimento interno di un testo letterario si adegui l’andamento del discorso critico su di esso condotto, come avviene in questo libro.

Attorno al centro focale costituito da Ancora sulla strada di Zenna – «componimento che si colloca nel cuore dell’esperienza poetica di Vittorio Sereni» – Christian Genetelli costruisce una serie di cerchi concentrici (la sezione del libro nella quale si trova la poesia; il macrotesto degli Strumenti umani; gli altri testi sereniani: creativi, autobiografici, critici, epistolari; la biografia dell’autore; il contesto storico-letterario di ricezione), instancabilmente attraversati su strade centripete e centrifughe. Non c’è qui – credo – solo l’idea, dichiarata sin dalla premessa, «che Sereni spesso si possa e si debba spiegare con Sereni», ma anche la capacità di (far) entrare nella poesia in esame attraverso la costruzione di un percorso critico che ne assecondi il nucleo concettuale. Insomma, al cuore caldo di Ancora sulla strada di Zenna Genetelli torna continuamente con nuove acquisizioni, sottraendo pertanto il proprio discorso e il testo di Sereni dall’inerte «ripetizione dell’esistere».

Il percorso in automobile descritto in Ancora sulla strada di Zenna è l’evento che avvia la riflessione sulla relazione dialettica tra due leggi temporali, entrambe disperanti: quella della «transitorietà delle cose» e quella della «ciclicità ripetitiva». Non a caso, nota Genetelli, le ripetizioni lessicali toccano il loro vertice con le occorrenze di «mutare» e derivati, a rendere patente anche sulla superficie della tavola testuale il centro tematico del componimento, l’evoluzione per cui all’«antico dolore del mutamento» si sostituisce «la scoperta del lato opprimente dell’immutabilità». Il commento metrico e stilistico al testo appare efficacissimo per misura e acume: ne viene ad esempio rilevato il dettato «piuttosto felpato», solo raramente acceso da particolari incontri fonici, e ciò «in coerenza con un interno, da automobile, che certo non impedisce la percezione sensoriale del soggetto, ma la scherma, la media, la uniforma». Opportunamente Genetelli sosta sul piano della sintassi, alla quale Sereni attribuisce, qui una volta di più, il compito di restituire «l’andamento del discorso interiore» (Mengaldo). Ancora sulla strada di Zenna, col suo «scorrimento sintatticamente orizzontale» e il «profilo sinuoso che gli a capo vengono a disegnare sulla destra della pagina» (ci si muove tra il settenario e il verso lungo, che varca la misura dell’endecasillabo), sembra mimeticamente disegnare proprio la strada percorsa, «ricca di curve ma pianeggiante o senza apprezzabili dislivelli», costruita «seguendo lo sporgere dei monti».

Sul piano dell’intratestualità e dell’intertestualità, mi limito qui a segnalare le pagine dedicate al confronto – proficuo fin dai titoli – tra Zenna, Strada di Zenna e Ancora sulla strada di Zenna; e noterei in particolare come Genetelli aggiunga alle acquisizioni della critica pregressa importanti tessere e memorie montaliane, senza indugiare nella stucchevole ricerca di «briciole intertestuali» poco o punto funzionali al discorso.

Al rapporto con il macrotesto, di cui lo stesso Sereni è perfettamente cosciente e al quale sono qui dedicate le pagine più dense, occorre tornare anche solo per il fatto che Ancora sulla strada di Zenna, nel suo centro geometrico (il diciottesimo verso, sui trentacinque complessivi), presenta il sintagma che diverrà il titolo della raccolta. E sono allora preziose, se restringo il campo a quest’unico aspetto, le testimonianze sereniane convocate per dimostrare come quegli strumenti umani siano per il libro tutto investiti di un significato più profondo rispetto a quello assunto nel microtesto di origine: «Questa espressione, che nella poesia significa strumenti di lavoro agresti o artigianali, nel titolo del libro intende invece significare tutti i mezzi e anche gli espedienti con cui l’uomo, singolo o collettività, affronta l’ignoto, il mistero, il destino». Ma è un discorso, questo della pertinenza degli altri testi di Sereni chiamati a illuminare il componimento in esame, che attraversa tutto il libro di Genetelli e che ne è, direi, il maggior pregio. Valga, in questo senso, una lettera dello stesso Sereni a Giansiro Ferrata, finora mai considerata dalla critica e cruciale per datare la stesura della poesia (e gli «spunti» dai quali è germogliata); da cui il suggerimento di ampliare le ricerche anche ad altre carte o altri carteggi oggi inediti, come gli scambi epistolari con Giancarlo Vigorelli, fondatore e direttore di quell’«Europa letteraria» sulle cui pagine Ancora sulla strada di Zenna vedrà la prima pubblicazione nel giugno 1960. E valgano, infine, i più che opportuni allargamenti alla biografia dell’autore (basti pensare ai rapporti con il compaesano e coetaneo Piero Chiara) e al dinamico ambiente letterario della fine degli anni Cinquanta e dell’inizio degli anni Sessanta.

Questo prezioso librino (piccolo solo nel numero di pagine, poco più di cento) è davvero una «Bussola» (esce nella serie Poesia della collana di Carocci, diretta da Uberto Motta e Niccolò Scaffai): uno strumento che permette al lettore di non smarrirsi su quella strada (di Zenna) che, con Sereni, Christian Genetelli ha lucidamente percorso.

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