Dal percorso artistico all’esperienza sul palco con il batterista Clément Grin, l’artista giurassiana si racconta
Formatasi in un primo tempo alla scuola di teatro LASAAD di Bruxelles e poi approdata alla Manufacture di Losanna, Mélissa Guex (nella foto qui a lato) è una di quelle performer che ti catapultano in avanti facendoti vedere ciò che la scena contemporanea svizzera ha da offrire in termini di spontaneità e creatività. Forse è proprio il suo percorso pluridisciplinare, fra teatro e danza, così come la sua anima camaleontica che la spingono a indossare alternativamente i panni della coreografa e dell’interprete (per altri come Nina Negri o Katerina Andreou e per sé stessa) a definire il suo stile: rinfrescante, libero ed esplosivo. Sebbene ammetta di aver sognato anche lei, come la maggior parte dei ballerini e delle ballerine che hanno transitato per il Belgio, di entrare alla prestigiosa e rigorosa scuola di danza P.A.R.T.S. di Anne Teresa De Keersmaeker, è stata invece, e in modo magari più inaspettato, la Manufacture di Losanna a permetterle di capire che genere di performer volesse essere e ad aiutarla a costruire la sua identità artistica.
Cresciuta in un paesino del Giura vodese, Mélissa Guex trasmette l’energia di chi ha avuto il coraggio di uscire dal proprio guscio per affrontare il mondo. Il suo ultimo spettacolo DAWN (full album), in cui duetta con il batterista Clément Grin (foto in basso) scatenando un vero e proprio uragano, coinvolge gli spettatori in modo epidermico. La vitalità che il duo emana si diffonde nella sala spingendo il pubblico, anche se solo per il tempo di uno spettacolo, ad abbandonare la propria riservatezza. Tra una data e l’altra abbiamo avuto l’opportunità di discutere con lei del suo tour che l’ha portata a Parigi, Bruxelles, Santarcangelo e Avignone.
Cosa la ispira in quanto artista? Cosa le dà voglia di creare?
In generale mi piacciono molto le parole, la lingua francese, ma sicuramente quello che ho trovato nel movimento, nella danza non ha eguali. Grazie alla danza ho capito come comunicare con il mondo, come esprimere quello che sento senza dover utilizzare le parole. Il movimento lascia molto più spazio all’immaginazione. Trovo che si possano dire cose molto importanti e profonde senza utilizzare le parole. È magico. Quello della danza è un linguaggio universale che mi permette di viaggiare ovunque senza preoccuparmi delle barriere linguistiche. Mi sono innamorata delle possibilità infinite che il linguaggio corporeo offre.
Quali sono le fondamenta del suo lavoro, le risorse che le permettono di non perdere la rotta?
Sono molto socievole, passo molto tempo con gli altri e l’essere umano mi affascina. DAWN si ispira ai raduni di persone, durante i festival di musica per esempio, luoghi dove le folle si incontrano per stare insieme. C’è qualcosa di molto affascinante e ispirante in questo, nel fatto di dirsi che un gruppo di persone che non si conoscono si incontrano sulla base di un tacito accordo, quello di esserci per ballare insieme allo stesso ritmo. Sono momenti meravigliosi dove c’è una sorta di armonia perfetta. Il mondo della notte, delle feste, mi nutre artisticamente, ma so che non devo abusarne perché può creare dipendenza. Non esco più solo per fare festa ma scelgo che musica voglio ascoltare, dove voglio andare. Sono molto curiosa e penso sia anche questo a guidarmi, sono questi slanci di curiosità a spingermi in avanti. Ho sempre fame di conoscere nuove persone, di scoprire nuovi luoghi, di partire sempre più lontano ma il fatto di abitare in Svizzera mi permette di mantenere l’equilibrio perché è una sorta di rifugio idilliaco e riposante. Abitare in Svizzera è un privilegio del quale sono cosciente, qui c’è un equilibrio perfetto fra la calma della natura, del lago e l’esplosione delle città.
In che modo la formazione alla Manufacture di Losanna (Bachelor in danza contemporanea) l’ha aiutata a progredire nel suo lavoro?
Credo che ogni percorso sia legittimo e che formarsi in una scuola di danza non sia assolutamente obbligatorio. Personalmente adoro la Manufacture, la sua pedagogia, il modo in cui gli insegnanti e le insegnanti ci seguono e accompagnano. Penso che sarebbe stato difficile per me trovarmi in un’altra scuola, magari più severa o che pretende da tutti di avere solide basi di danza classica. Alla Manufacture sono arrivata con il mio bagaglio, con la mia personalità. Lì ho ricevuto gli strumenti per svilupparla ed è qualcosa di raro che non si trova ovunque. Gli studenti e le studentesse non sono formattati, al contrario ciascuno è spinto a sviluppare il proprio stile. E poi, soprattutto, la scuola permette di crearsi un’enorme rete di contatti in Svizzera che poi torna molto utile. A Bruxelles, dove ho studiato prima della Manufacture, l’approccio è molto diverso, una volta finita la formazione si viene letteralmente gettati nell’arena. Non mi sentivo pronta ad affrontare quel mondo senza le armi necessarie per difendermi, sono cose che bisogna imparare tanto quanto il fatto stesso di danzare. Quello che mi è piaciuto molto alla Manufacture è che è una scuola al passo con i tempi dove ci si rende conto delle difficoltà che comporta una carriera d’artista. Si interessano molto a quello che pensiamo e viviamo, e questo è un lusso.
A proposito di benessere personale, ci sono sempre più associazioni che si schierano in difesa degli artisti e degli operatori culturali, che si occupano delle condizioni di lavoro, delle violenze fisiche e morali che possono subire. Cosa ne pensa e come cerca, nel suo lavoro di artista, di incentivare il benessere di ognuno?
Non ho perso la speranza, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni, ma so che ci sono persone che hanno raggiunto la saturazione. Mi dico che il meglio deve ancora arrivare e per questo bisogna lavorare e continuare a prendersi cura l’uno dell’altro crescendo insieme. Nei posti in cui non ci si sente rispettati in quanto persone bisogna essere radicali. Quando non è possibile alcuna comunicazione, sono una persona capace di cessare la collaborazione. Il mio primo riflesso è sempre quello di discutere, di comunicare, ma se la comunicazione non è possibile allora anche la collaborazione non può esserlo. Amo troppo il mio lavoro per ritrovarmi di fronte a persone che non vogliono dialogare, imparare ed evolvere. Ci sono così tanti bei luoghi dove ho voglia di lavorare, tante belle persone con cui ho voglia di collaborare che, con la mia équipe, faccio delle scelte mirate. La mia équipe (tecnica, produzione ecc.) è composta principalmente da persone identificate come donne. È successo per caso, ma allo stesso tempo non è un caso. So cosa significa arrivare in un teatro dove l’équipe è composta principalmente da donne ed è raro! Per me è anche una scelta militante. Penso che creare posti di lavoro fra di noi, che esistiamo e difendiamo i nostri diritti di fronte a una realtà non sempre favorevole è importante. Mi sento sostenuta dalle persone del mio team di lavoro, imparo molto da loro, le nostre discussioni sono davvero ricche e questo mi dà speranza. Mi piace molto collaborare con le persone che lavorano con amore e con gioia.
A proposito di incontri, come è nata la sua collaborazione con il batterista Clément Grin con cui condivide la scena in DAWN? L’osmosi fra di voi è davvero perfetta come foste fratello e sorella.
È un incontro artistico davvero prezioso, di quelli che accadono raramente. Il legame fraterno lo sento veramente. L’ho visto esibirsi per la prima volta a Ginevra al festival Antigel e ho avuto un grande flash. Suonava in un luogo pazzesco, dove si distruggono le macchine in disuso e anche la performance era abbastanza folle. Credo di aver captato in lui una specie di fuoco che anima anche me, ma in modo diverso. Fortunatamente vivevamo nella stessa città, a Losanna, e qualche mese dopo ci siamo rivisti in un caffè e gli ho proposto di fare una session per far incontrare i nostri due universi artistici. È stato come se due fuochi si incontrassero creando un’esplosione. Forse ci siamo già conosciuti in una vita precedente.