In Gran Bretagna con il Governo laburista di Starmer si aprono nuove prospettive di collaborazione, anche sui temi della sicurezza
«È un piacere tendere la mano verso tutti voi per conto del mio Paese per esprimere che, sotto la mia guida, la Gran Bretagna sarà uno Stato amico e collaborativo pronto a lavorare con i Paesi europei non come membro dell’Unione europea, ma certamente come membro dell’Europa. Senza focalizzarsi sulle differenze esistenti, ma piuttosto sui valori condivisi, uniti dalla nostra determinazione di difenderli e sicuri di quanto possiamo conseguire insieme». Keir Starmer volta pagina sugli algidi rapporti che hanno segnato l’interazione fra il Regno Unito e la Ue dal controverso referendum del 2016 che ha decretato la Brexit e l’uscita per la prima volta nella storia di un Paese dal blocco. E lo ha espresso in modo inequivocabile. L’occasione è stato il summit della Comunità politica europea (EPC) a Blenheim Palace nell’Oxfordshire, dove il neo-primo ministro laburista britannico nei giorni scorsi ha fatto gli onori di casa, intrattenendo così incontri bilaterali con i leader di oltre 40 Paesi europei: 27 stati Ue e 20 non Ue. Un palcoscenico perfetto per il debutto sulla scena internazionale del nuovo inquilino di Downing Street. Non è un segreto che il Governo Labour, tornato al timone del Paese dopo 14 anni di leadership Tory, voglia migliorare i rapporti con i partner europei, considerati alleati. Il tempismo del vertice EPC in questo senso è stato dunque eccellente per Starmer, che ha colto l’opportunità per allungare un ramo d’ulivo e discutere di temi urgenti, a cominciare dalla sicurezza.
La sicurezza infatti, in primo luogo, è un ambito di comune interesse fra Regno Unito e Ue. Dalla stipulazione nel dicembre 2020 del Trade Corporation Agreement (TCA) – il trattato che regola i rapporti commerciali fra Londra e Bruxelles – il contesto geopolitico europeo è drasticamente cambiato con il conflitto in corso in Ucraina. Sicurezza, difesa e politica estera non sono sufficientemente regolati dagli accordi esistenti. Se si guarda al Trading Corporation Agreement, ci sono poche disposizioni in materia, se non limitatamente alla cybersicurezza e all’antiterrorismo. Del resto lo stesso ex premier Boris Johnson aveva deciso di non includere questi temi nelle trattative del 2020. Il tema della sicurezza è considerato dai laburisti come un ottimo modo per ricostruire fiducia e relazioni personali con i membri dell’Unione. Già nella prima settimana di insediamento, infatti, è partita un’intensa serie di iniziative diplomatiche: il neoministro degli Esteri britannico David Lammy ha visitato Germania, Polonia e Svezia. Poi c’è stato il summit della Nato e infine la Gran Bretagna ha ospitato il summit della comunità politica europea.
L’obiettivo di lungo termine? Il Labour punta a una dichiarazione congiunta con la Ue su sicurezza e difesa e la vuole presto, possibilmente entro sei mesi. Fra i desiderata, anche modalità più strutturate per trattare i temi sicurezza, politica estera e difesa con dialoghi politici bi-annuali fra funzionari e un maggiore impegno di coordinamento con la politica estera e di difesa comunitaria: ad esempio il Regno Unito potrebbe contribuire ad alcune missioni militari dell’Ue. «Il Regno Unito intende la sicurezza in senso lato e dunque comprende non solo la sicurezza militare ma anche quella relativa a energia, clima, intelligenza artificiale e persino immigrazione», ha spiegato Jannike Wachoviak, ricercatrice del think tank britannico UK in a Changing Europe (UKiCE) a un incontro organizzato a Londra dall’Associazione stampa estera proprio per discutere sulle future relazioni fra Ue e Gran Bretagna nella nuova era Labour. Questa interpretazione ampia potrebbe costituire un problema per i partner europei visto che si tratta di argomenti che hanno anche risvolti economici e che quindi sono già stati parzialmente coperti e concordati dal TCA.
«Il TCA è strutturato come un grande sandwich: le fette di pane esterne rappresentano le disposizioni quadro ovvero il framework istituzionale, che non ha nulla a che fare con il diritto comunitario per volontà dei relatori soprattutto di parte britannica, e questo è un limite», ha aggiunto Catherine Barnard, vicedirettrice di UKiCE e professoressa di diritto comunitario a Cambridge. «Anche se il TCA prevede che si possano siglare accordi supplementari, poiché non assegna alcun ruolo alla Corte di giustizia europea, nulla di ambizioso può essere perseguito sulla base del TCA e dovrà essere pertanto oggetto di un accordo separato e apposito». Sul fronte dell’immigrazione illegale il premier britannico Starmer intanto, oltre ad accantonare prontamente la controversa politica Tory di deportazione in Ruanda dei clandestini, ha rassicurato i partner europei in merito all’impegno del Regno Unito di continuare ad aderire alla Convenzione di Ginevra sui diritti umani che alcuni esponenti del Governo precedente invece avevano minacciato di abbandonare, proprio perché d’intralcio alle espulsioni verso il Paese africano. Starmer ha annunciato piuttosto lo stanziamento di 84 milioni di sterline per progetti in Africa e nel Medio-Oriente volti a fornire istruzione, opportunità lavorative e supporto umanitario, scoraggiando così le partenze e stroncando l’immigrazione illegale «alla radice».
Unione doganale e mercato unico, invece, restano per il momento fuori discussione. «Del resto la questione non si potrebbe esaurire in una legislatura e il Partito laburista vuole mettere in campo azioni che diano frutti in uno spazio di tempo più breve», ha commentato Anand Menon, direttore di UK in a changing Europe e professore di Politica europea al King’s College di Londra. Anche l’opinione pubblica britannica non sembra propensa a un’altra lunga negoziazione con l’Unione europea. Al momento i sudditi di Sua Maestà pare abbiano accantonato la Brexit e rivolto la propria attenzione all’economia e all’inefficiente servizio sanitario nazionale. In base agli ultimi sondaggi, se si tornasse indietro, il 58% dei britannici rimarrebbe nell’Unione europea contro il 42% che invece non rinnega la decisione del 2016. Tuttavia la Brexit non rappresenta più una questione prioritaria: se alle elezioni del 2019 lo era per il 73% dei votanti, alle ultime solo il 13% l’ha indicata come tale. Meglio puntare dunque a un riavvicinamento amichevole con l’Ue per il momento, e cambiare registro. Starmer lo ha capito ed espresso con positivi segnali di umiltà, o quantomeno non di arroganza, a differenza dei suoi predecessori.