Parlare di Olimpiadi senza parlare di sport

Si può parlare delle Olimpiadi di Parigi senza parlare di sport (lo fa anche Cesare Poppi a pag. 9). È un modo indiretto ma molto efficace per capire meglio il mondo in cui viviamo. Perché oggi ogni evento internazionale di massa, dai Mondiali agli Europei di calcio alle Olimpiadi, appunto, finisce fatalmente col diventare il prisma delle posizioni, delle contraddizioni, delle battaglie sociali, filosofiche e geopolitiche che infiammano il pianeta.

La scelta del verbo «infiammare» non è casuale.

Qualche giorno fa, in effetti, un amico giornalista di lungo corso mi ha telefonato un po’ scandalizzato: «Ma tu lo sapevi che, per la prima volta, la fiamma del Braciere olimpico non è fuoco, ma è completamente elettrica? Che fine fanno le tradizioni?». No, non lo sapevo, e l’amico ha ragione: l’energia è stata fornita dall’ente di distribuzione francese e la fiamma in realtà è un sofisticato effetto ottico creato con giochi di luce e acqua.

Era la prima notizia non sportiva che sentivo sulle Olimpiadi, probabilmente la meno significativa, solo un debole ronzio nel bailamme mediatico che circonda l’evento. Subito dopo – o forse prima, non so – sono iniziate le diatribe medico-ambientali, ad esempio sull’inquinamento della Senna che avrebbe reso improponibili le gare in acqua. E così, la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, ha deciso di farsi un bagno nella Senna per mostrare al mondo che il fiume è pulito e può ospitare in tutta sicurezza le gare di nuoto libero.

Del resto, segno dei tempi, questi si presentano come i primi giochi olimpici completamente «verdi» della storia. Motivo per cui nel villaggio eco-friendly per gli atleti manca l’aria condizionata, suscitando il malumore di non poche delegazioni sportive. Perché van bene i pannelli solari sui tetti, le pareti in legno e cemento a basse emissioni, gli arredi riciclati e i pavimenti dei campi sportivi installati senza colla, ma l’afa è afa e se punti a una medaglia un minimo di refrigerio in stanza non guasta.

E poi, come puoi parlare di Olimpiadi ecosostenibili quando fra gli sponsor della kermesse hai aziende come l’Air France e altre multinazionali che sono in cima alle classifiche degli inquinatori seriali del pianeta?

Altra polemica olimpica riguarda l’«invisibilizzazione» della precarietà: alcune ONG hanno stimato che nell’ultimo anno, in vista dell’evento, la capitale francese ha aumentato del 38,5% l’allontanamento dal centro di poveri e migranti.

Quasi superfluo ricordare poi le controversie sulla cerimonia d’apertura, interpretata da molti come uno sdoganamento a tutti i costi della cultura woke e una parodia dei simboli cristiani. Noi siamo per la tolleranza e sappiamo che la manifestazione evocava scenari dionisiaci e non anti-cristiani, ma è difficile negare una certa ostentazione del gender fluid.

In compenso queste sono le Olimpiadi più paritarie di sempre: per la prima volta nella storia dei Giochi, alle competizioni prenderà parte lo stesso numero di atleti e atlete.

La polemica più seria e drammatica, tuttavia, ci riporta nel cuore delle tragedie dell’oggi: chi viola la tradizionale tregua olimpica non può prendere parte ai Giochi. Giusto. Ma allora perché la Russia è stata esclusa e Israele può parteciparvi? Due pesi e due misure? Senza contare che i 15 atleti russi e i 16 bielorussi che hanno deciso di andarci sotto la «bandiera» dell’AIN, Atleti Individuali Neutrali, come i tennisti russi Daniil Medvedev e Andrey Rublev, o la tennista bielorussa Aryna Sabalenka, nelle loro patrie sono considerati traditori.

Come volevasi dimostrare: abbiamo parlato di tradizioni violate, inquinamento ambientale, riscaldamento globale, emarginazione sociale, contrasti culturali e crisi geopolitiche senza mai parlare di sport. Le Olimpiadi sono lo specchio del mondo.

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