Ultima cena a Parigi

Il menù servito su un piatto d’argento è talmente ghiotto da tentare anche l’Altropologo, che com’è noto preferisce tenersi al largo dai bassifondi del contemporaneo, ad avventurarsi, scandaglio alla mano, su per la Senna, sempre controcorrente, per un assaggio à la carte della gastronomia olimpica. Confessa il Vostro che in diretta di Cerimonia d’Apertura non c’era. In quelle occasioni preferisce sempre andare a pescare. Ma fra strepito e rumore, boatos e proteste – accuse e smentite scamparla è stato impossibile. Siamo costretti a essere informati. Cosa potesse avere a che fare l’Ultima Cena di Leonardo con quella roba là rimarrà un rebus sul quale i futuri storici della (s)comunicazione scriveranno biblioteche. O forse sarà perché l’originale è deteriorato, nonostante gli sforzi dei restauratori. Leonardo amava sperimentare anche quando avrebbe fatto meglio a risparmiarselo e dipinse con la tecnica della «tempera a secco» (un po’ come spalmare la Nutella sul vetro, per intenderci). Presto il non-affresco si seccò polverizzandosi. Così uno, oggi, può «leggere» nella composizione (quasi) quello che gli pare… Insomma in quella roba lì ci hanno visto l’Ultima Cena di Leonardo e si è scatenato l’inferno. L’Inferno, today, è la cacofonia mediatica. Caos e confusione. Fino a quando dalla periferia dell’Empire, la cronaca locale dell’edizione bolognese del 29 luglio de «La Repubblica», svela al mondo l’arcano. La mondovisionaria teleparata delle Drag Queens in crapula non c’entra niente con Leonardo, ma si ispirerebbe invece a un dipinto molto meno noto ma scopiazzone di Leonardo, esposto nelle Collezioni Comunali d’Arte di Bologna. Etichetta: Bellosio Carlo (cognome ante nome, come si fa ancora nei militari e all’anagrafe dei paesi provinciali dove conta la Famiglia, a differenza dei Paesi di PIL avanzato dove Individuo è Sovrano si dà del tu anche al Papa). Dunque: B.C. 1801/1849, Banchetto degli Dei, cm 134×85. Bellosio Carlo fu un pittore lumbard di scuola neo-neoclassica, una sorta di David in ritardo. E anche un po’ scolastico e (azzardo) bruttino. Fattostà che ornò con le sue tele la sala da pranzo di quell’eclettico neogotico che è il Castello Sabaudo di Pollenzo, nel cuneese, oggi campus – ci mancherebbe – dell’Università delle Scienze Enogastronomiche. Alcuni peraltro attribuiscono il dipinto al bolognese Pelagi Pelagio, personaggio eclettico, bon viveur e factotum dei Savoia – da qui forse la sovrapposizione col lumbard. Ora: non vi è dubbio che la composizione del Banchetto degli Dei ricalca la Cena di Leonardo (come certo confaceva un pittore d’accademia in affanno di fantasia). Sta di fatto che la figura centrale è un Giove Barbuto e Aureolato, paffuto per non dire cicciottello, spaparanzato sul triclinio ed evidentemente alticcio, mentre Era/Giunone lo tenta con un’altra ombra, alla veneziana. Resta un mistero dell’umana creatività e dei suoi ghiribizzi modaioli come da Giove si sia passati al Bacco extralarge-con-compagnia-di-Drag Queens alla porporina… (ma siamo poi sicuri di essere in zona LGBT che magari l’hanno presa male?). Sembrerebbero piuttosto i (m)nostri derivati dal rendering scopiazzato degli dei olimpici di un quasi recente film hollywoodiano, «trashata» in purezza, sul quale è meglio stendere un velo… Il peggio, molto divertente, è venuto con la difesa che Thomas Jolly (un nome, una garanzia), direttore della kermesse d’apertura dei Giochi, ha fatto del suo prodotto. La pezza peggio dello sbrego: funambolismi su inclusione e tolleranza, paternalistiche gnole e adolescenziali scuse verso chi «non ci ha capito», appelli un po’ stizziti alla fratellanza e al volemose bene e poi…e poi… alla fine, quando si capiva che proprio gli scappava, l’inno finale ispirato ai valori Republicains (sic – cito, corsivo dell’Altropologo): «In Francia possiamo amare chi vogliamo… In Francia possiamo credere o non credere… In Francia abbiamo tanti diritti…». Tre volte di troppo. Chissà come avrebbe glossato il Marchese del Grillo, romano dde Roma. Assieme alla Sindachessa di Parigi, memore di Mao Zedong, che fa il bagno nella Senna (antica questa sì Dea dei Celti certo ora uscita di scena e forse di senno), per dimostrarne la baignabilité per poi trovarsi in piena Olimpiade con la medesima piena di… si chiamano E. coli!? Tanto che gli atleti-eroi optano per gareggiare nella vasca da bagno. L’Olimpiade parigina dovrebbe seriamente considerare l’idea di una Medaglia d’Oro per Gaffeurs.

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