Per fare certe cose devi avere i piedi saldamente appoggiati alle nuvole. Classe 1984, nato in Ticino da genitori svizzerotedeschi, arrivato al Locarno Film Festival nel 2013 per diventarne il Managing Director nel 2017, Raphaël Brunschwig (nella foto) in un’intervista apparsa su «Bilanz» è stato definito da Marco Solari «un leader lungimirante capace di tocchi di grandezza» che unisce in sè «le virtù del nord, dell’Europa centrale e del sud come pochi altri manager». Sorridente, accogliente, umile nel parlare di sè, pieno di elogi per le persone con le quali collabora, nel dopo Solari, Raphaël Brunschwig è sicuramente uno dei volti che meglio rappresentano il Festival in Ticino e oltre San Gottardo. Non solo, Brunschwig ha un altro atout ed è quello di conoscere bene il territorio nel quale vive e si muove. Diversi infatti, oltre a quello del Festival, i «cappelli» che indossa: presidente degli Eventi letterari Monte Verità, co-presidente di Swiss Top Events e membro del Consiglio della Fondazione Eranos. Non stupisce dunque che nel nostro incontro – prima di addentrarci nella nuova edizione festivaliera alle porte – siamo partiti dalla Locarno spirituale e mistica grazie all’articolo che Brunschiwg ha firmato qualche tempo fa sulla «Neue Zürcher Zeitung» in cui – tra le altre cose – parla di un Ticino che ha perso la sua anima più irrazionale e ne citiamo un passaggio: «Sono fermamente convinto che esista un’anima ticinese tanto diversa da quella italiana quanto da quella svizzero-tedesca. Penso al concetto di “anima” nel senso di C. G. Jung. Nel gergo della psicologia, questa parola descrive la capacità individuale o collettiva di entrare in contatto con dimensioni che sfuggono al pensiero logico».
Con noi, invece, parla del libro di Károly Kerényi Dioniso. Archetipo della Vita indistruttibile – che, guarda caso, nell’edizione adelphiana riporta in copertina un antico mosaico raffigurante Dioniso a cavallo di un ghepardo, che molto ricorda il leopardo del Festival – e della mostra che questa settimana si inaugura al Museo Casa Rusca e cioè la retrospettiva dedicata a Olga Fröbe-Kapteyn (1881-1962), artista, mistica, attivista e fondatrice del centro Eranos. «Le cose più profonde della vita umana», avrebbe detto, «possono essere espresse solo visivamente (…)». E questo in un balzo leopardesco ci porta alla forza e alla poesia del Festival perché – come ci ricorda il sito citando Sergei Eisenstein – «il cinema è immagini che creano sentimenti che creano idee».
Il suo libro sul comodino?
Dioniso di Kerényi, una lettura ispiratami dalla mostra Geranos di Riccardo Arena che c’è stata qualche tempo fa all’Elisarion.
Qui nel Locarnese si resta sempre collegati a queste antenne un po’ esoteriche…
Esoterico è una parola brutta, nel senso di distonica…
Ma no, è bella!
Sì, ma nell’accezione comune spesso assume una connotazione negativa, troppo facile.
Quanto sente queste energie qui a Locarno?
È innegabile che le cose successe a Locarno negli ultimi cento anni sono fuori dall’ordinario. In questi luoghi c’è stata una concentrazione di cercatori dell’essenziale che hanno prodotto storie eccezionali. Era proprio Kerényi che del Locarnese diceva: «È la perla più a nord del Mediterraneo».
Raphaël Brunschwig lei si sente un cercatore dell’essenziale?
Bisogna distinguere tra la funzione e l’individuo, anche se è innegabilmente bello quando le cose trovano un’unione sintonica. Io sono al servizio di una missione culturale e in questa veste è irrilevante quello che penso io. Nel senso invece di un hero’s journey, dell’eroe che si imbarca in un’avventura, dove il pubblico è protagonista, possiamo rispondere alla domanda chiave: a cosa serve il Festival? A capire chi siamo, è la mia risposta. Ed è l’esperienza a determinare chi siamo in relazione a ciò che viviamo e vediamo per poi discuterne, confrontarci secondo quelli che sono i nostri parametri anche esistenziali. Un luogo generativo come il Festival di Locarno mette in campo così tante storie con un’intensità talmente straordinaria che se fruito con apertura, curiosità e intelligenza può essere un elemento di questa ricerca dell’essenziale, pur essendo inevitabilmente rumoroso e con tutta l’estroversione che lo caratterizza.
Questo dal punto di vista istituzionale. Nel privato invece?
Raphaël nel privato è un eremita probabilmente, un eremita mancato, un aspirante eremita fallito miseramente su tutta la linea (ride).
Dicevamo, in apertura, dei tanti cappelli che indossa, il Festival naturalmente è quello principale ma ci sono anche la Fondazione Eranos, gli Eventi letterari Monte Verità e gli Swiss top events…
Swiss Top Events è un bellissimo costrutto che posiziona la Svizzera nel mondo con delle eccellenze che vanno al di là dell’aspetto paesaggistico e pensiamo per esempio ad Art Basel, al Lucerne Festival e al Montreux Jazz Festival, per citarne solo tre, manifestazioni che nel loro ambito sono prime a livello mondiale. Far parte di questa realtà significa partecipare ad una piattaforma di scambio ed esperienze di crescita preziose. Gli Eventi letterari, che a suo tempo aveva voluto Solari di concerto con il Cantone e il Municipio di Ascona, come li ha definiti un CEO in Svizzera interna sono «la più sconosciuta tra le perle culturali svizzere». E ho accettato di farne parte perché credo che il Monte Verità meriti di risplendere e di mantenere viva la sua anima e la sua simbologia. Allora era un’alternativa al capitalismo e al comunismo, oggi, come direbbe Calasso, è «l’innominabile attuale». O, per dirla in altre parole, scontata la sconfitta parziale dei modelli che lì hanno cercato di implementare – e dico parziale perché alcuni si sono integrati nel nostro vivere quotidiano, sono entrati a far parte della nostra identità occidentale – oggi è necessario pensare quali futuri alternativi ci sono e per i quali valga la pena impegnarsi.
Abbiamo perso di vista l’essenza del nostro fare, la dimensione spirituale e irrazionale di quel modo di esistere caro all’utopia del Monte Verità?
L’utopia la cerchi, si avvicina, ma resta lontana. Non conta raggiungerla, importa la tensione che ci metti per andare in quella direzione. Se guardo al mio vissuto personale, c’è la parte adattata e c’è la parte selvaggia di qualcuno che comunque è cresciuto nella natura, fuori da tutto, nei boschi della Valcolla. In me c’è la costante ricerca dell’unione dei due mondi. E pensando anche al mio impegno nella Fondazione Eranos che, insieme al Museo Casa Rusca diretto da Sébastien Peter, nei prossimi giorni inaugura la mostra dedicata alla Fröbe (il cui percorso di iniziazione al femminile potrebbe essere visto come complementare e in contrapposizione al Libro rosso di C. G. Jung) mi piace pensarmi al servizio del futuro e della grande domanda su quei luoghi mitici. Vale a dire se il genius loci è ancora lì o se n’è andato da tempo, come dice qualcuno.
Entriamo nel merito del Festival. Lei è depositario di un passaggio particolare: ha dovuto traghettare la manifestazione dal vecchio al nuovo mantenendo la tradizione solariana e aprendo nuove piste. Pensiamo a quelle che aprirà la nuova presidente Maja Hoffmann. Quindi, che anno è stato?
Fortunatamente i traghettatori solitari in questo mondo complesso non esistono più (sorride). Ovviamente è un lavoro di squadra fatto in particolare con il Vice-Presidente Luigi Pedrazzini, (siede nel Consiglio di amministrazione da tanti anni). Lui è una sorta di saggio locarnese, con esperienze molto importanti ora al servizio del Festival, che rappresenta anche più di me il garante della continuità.
Dunque cosa sta avvenendo?
Da più parti e a più livelli, a partire dal Consiglio di Amministrazione,stiamo lavorando a un cambio culturale. Siamo tutti coinvolti in un lavoro che vuole assicurare una robustezza strutturale a questa organizzazione che vada al di là delle persone. È chiaro che le persone sono importanti ma noi stiamo passando da un modello dove le persone erano forse più importanti della struttura a un modello che include una struttura che è più importante delle persone per poi trovare idealmente una sintesi fra queste due visioni che possa assicurare la continuità e la solidità futura di questo meraviglioso progetto. Un progetto che, come qualsiasi altra istituzione culturale, è al contempo estremamente solido ed estremamente fragile. In tutto questo ora arriva la parte interessante del processo perché è il momento dell’incontro dei mondi e sono molto fiducioso che sarà positivo.
La presidenza di Maja Hoffmann – che in primis ribadisce la vocazione internazionale del Festival – si muove dunque su altri binari rispetto a quella di Solari?
È un privilegio poter lavorare con qualcuno che ha una tale apertura al mondo e una tale visione prospettica per certi versi molto lontana dalla nostra. Una visione che arricchisce un Festival che ha già un’anima internazionale e che nel concreto si traduce in nuove opportunità, nell’apertura di porte che sarebbe altrimenti difficile se non impossibile aprire… Tutto questo avendo alla base una condivisione e un rispetto dei valori culturali e dei principi del Festival come la libertà artistica, il coraggio di sperimentare: tutte cose di cui Maja Hoffmann può essere una eccellente garante.
In un’intervista uscita sulla «NZZ» in occasione della sua nomina lo scorso anno, Maja Hoffmann riguardo alle aspettative che Locarno ripone in lei nella veste di nuova presidente disse: «Sono un po’ troppe», mettendo poi in chiaro che il suo obiettivo è quello di portare soprattutto idee nuove. Da noi invece sin da subito si è posto l’accento sul suo potenziale nel portare nuove risorse finanziarie…
Questo è un tema importante, è una cosa alla quale si sta lavorando e ci sono già i primi segnali incoraggianti. È chiaro che oggi rispetto al passato, in quest’epoca della complessità, nelle grandi aziende e nelle fondazioni raramente è una persona sola a decidere, ci sono linee guida strategiche da seguire e livelli da rispettare, e quindi tempi più lunghi.
Anche se una persona conosce tutto il mondo non basta: bisogna incontrarsi, piacersi, entusiasmarsi, impegnarsi per uno stesso progetto e questo non accade in un giorno. È già stata annunciata la collaborazione con Bloomberg, una realtà enorme, e pochi giorni fa abbiamo annunciato un nuovo premio e il rafforzamento della collaborazione lo streamer internazionale MUBI. Penso possiamo ritenerci soddisfatti di questi primi risultati, a cui siamo giunti con il supporto della nuova presidenza e grazie al lavoro di tutta la squadra e che ci portano sempre più ad allineare aspettative e necessità.