Un altro prete è stato accusato di abusi sessuali su minori ed è partita la ridda delle opposte indignazioni: chi si arrabbia perché la Chiesa cattolica «predica bene e razzola male» anzi malissimo, e chi si snerva perché i media hanno fatto il nome del sospettato prima ancora che un tribunale lo dichiarasse colpevole. Non entriamo, qui, nella polemica circa i tempi lunghi tra la segnalazione del caso e l’arresto, di cui hanno ampiamente riferito i quotidiani. Ragioniamo, invece, sulle due reazioni primarie emerse dopo la notizia. Per alcuni, tutti i preti sono sospettabili e la Chiesa cattolica protegge troppo chi si macchia di reati; per altri stampa e Magistratura sono anticlericali perché di fronte ad analoghe accuse contro sospetti abusatori «laici» non hanno agito con lo stesso «accanimento». È davvero così?
Certo, l’immagine della Chiesa cattolica esce malconcia dalla vicenda, ma la Chiesa è l’unica istituzione che è stata capace di fare non solo autocritica, ma una vera e propria pulizia interna, di fronte al fenomeno. Questo caso è spuntato dopo la prima indagine indipendente dell’Università di Zurigo (settembre 2023) sugli abusi nella Chiesa cattolica elvetica, commissionata – si noti – dalla Conferenza dei vescovi svizzeri. Vescovi che hanno poi chiesto alle vittime di segnalare alle Diocesi gli abusi subiti, per verificarli e, se fondati, aiutare le vittime a segnalarli alla Magistratura. Come avvenuto ora. Prima del Duemila è probabile che la stessa segnalazione sarebbe caduta nel nulla. L’emergere di questa vicenda è la prova che la Chiesa cattolica sta facendo sul serio con la politica della «tolleranza zero».
Non dimentichiamo, poi, che il grosso degli abusi sui minori avviene in ambienti non religiosi, in ambito famigliare o nelle strutture che hanno a che fare coi minorenni, dalle scuole ai campeggi ai corsi di sport. La pedofilia non è un problema esclusivo dell’istituzione cattolica, ma di tutta la società civile. E di questo si parla molto meno.
Certo, l’anticlericalismo c’è, e in passato qualche caso sembra davvero essere stato gestito con una punta di malanimo laicista (siamo un cantone storicamente spaccato in due sul ruolo e sul peso della religione nel mondo). Ma è scorretto attribuire all’anticlericalismo ogni accusa che riguarda un ecclesiastico. Siamo tutti uguali davanti alla legge. Non si possono usare i guanti perché il presunto colpevole è un prete. Quanto al mondo dell’informazione, se una persona pubblica (e i preti lo sono, al pari dei politici o dei vip) è fortemente sospettata di essersi macchiata di un reato, è prassi che il suo nome venga divulgato sui media, anche per evitare che altri preti o politici o vip vengano sospettati al suo posto. Come recita il Prontuario del Consiglio svizzero della stampa «pubblicare il nome è lecito quando la persona si espone pubblicamente sul tema oggetto della notizia, detiene una posizione politica o sociale di rilievo, oppure è già nota per altri motivi». Per l’interessato, la sua famiglia e i suoi amici, è scioccante vedere pubblicato il nome prima che sia stabilita con certezza la colpevolezza. Ma non si può scrivere «un prete del Mendrisiotto avrebbe…» senza gettare un’ombra su tutti i preti del Mendrisiotto. Idem se si tratta di un’altra persona socialmente esposta. Specificando, beninteso, che fino a prova contraria, cioè fino alla celebrazione del processo, vale la presunzione di innocenza. E precisando poi se il giudizio è di primo o di secondo grado, o se l’eventuale condanna è passata in giudicato, se cioè non esistono più possibilità di ricorso. Altre riflessioni andrebbero fatte sulla protezione delle vittime (a cui va come minimo assicurato aiuto psicologico) e sulla prevenzione del fenomeno (con un discernimento umano approfondito dei candidati al sacerdozio), ma nel frattempo proviamo a ragionare sul tema con equilibrio e senza pregiudizi.